FICARRA & PICONE


Nuova produzione per Rai Cinema in collaborazione con Rodeo Drive: Nati Stanchi, commedia diretta da Dominick Tambasco (regista di Johnny dispari), che segna il debutto cinematografico del duo comico siciliano Ficarra & Picone (Salvo Ficarra e Valentino Picone, n.d.r.). La coppia ha ideato il soggetto, una storia di trentenni malati d’irresponsabilità cronica, e poi l’ha sviluppato insieme a Francesco Bruni (sceneggiatore dei film di Paolo Virzì e docente alla Scuola nazionale di cinema) e Gian Battista Avellino. Il tema richiama alla mente la sindrome da Peter Pan descritta da Gabriele Muccino (L’ultimo bacio, vedi l’intervista al regista) e, con occhi diversi, da Marco Ponti (Santa Maradona, vedi l’intervista al regista) ma, assicurano i due attori, il linguaggio comico sconvolge la prospettiva e anche il finale. Il set, dopo sei settimane di riprese, si è appena concluso. La distribuzione in sala, affidata alla 01, è prevista per la prossima primavera.

Il film parla di due ragazzi della provincia siciliana che vanno a Milano per sostenere un concorso pubblico. Il concorso in realtà è una scusa per prendersi una vacanza dalle fidanzate e dalla noiosa realtà paesana. Un altro film sui trentenni in crisi?
Picone. E’ un dato di fatto che in questo periodo si parli della sindrome da Peter Pan, ma la nostra prospettiva è diversa. Noi siamo dei comici e quindi ci prendiamo in giro, ironizziamo sui nostri personaggi. Poi bisogna ricordare che negli sketch di Stanlio e Olio c’erano sempre persone che rompevano le uova nel paniere. Dunque quali rompiscatole migliori delle fidanzate? Sono situazioni comiche classiche, alla Chaplin, alla Troisi.

Avete girato a Milano e in Sicilia. Come avete raccontato questi luoghi?
Picone. La Sicilia è vista in chiave moderna. Non ci sono coppole sulle teste dei compaesani, anche se ci sono mafiosi. E poi i due protagonisti, essendo giovani, parlano italiano.

Ficarra. Non abbiamo fatto alcuna operazione di pulizia linguistica. In Sicilia solo i sessantenni usano il vero dialetto. L’accento comunque, come nella realtà, resta.

Mafiosi, fidanzate rompiscatole e fuga dalle responsabilità. Una commedia sugli stereotipi?

Picone. Lo stereotipo nasconde sempre una verità. Fa male quando, come nel caso de Il mandolino del capitano Corelli, è riferito a un momento drammatico della storia. In quel caso, gli italiani sono apparsi come il solito paese pizza e mandolino e la regia, tutta straniera, ha nascosto la storia della nostra Resistenza. Io e Salvo parliamo della nostra terra, non degli Stati Uniti. E poi come fai a non mettere un mafioso in Sicilia? I film capaci di raccontare la mafia, sono I cento passi di Marco Tullio Giordana e Tano da morire di Roberta Torre. Quelli sono i nostri riferimenti cinematografici.

Voi due avete fatto parte del cast fisso di “Zelig”, programma condotto da Simona Ventura, e dell'”Ottavo Nano”…
Picone. Sì, nel programma di Serena Dandini eravamo due “compagni” appartenenti a una sezione di partito siciliana. Ci occupavamo del fatidico scollamento tra il vertice e la base. Alla fine arriviamo a Roma da “Uolter” Veltroni per denunciare il problema. Gli portiamo anche dei cannoli siciliani, ma una volta in udienza, ci intimidiamo e non riusciamo nemmeno a parlare.

Avete incontrato mai il vero Walter Veltroni?
Ficarra. Sì e ci ha detto che gli abbiamo rovinato la piazza. Quando va alle manifestazioni la gente gli porta spesso cannoli.

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22 Novembre 2001

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