Ferdinando Cito Filomarino: il mio antibiopic ‘Antonia’

Il giovane regista milanese racconta nel suo esordio, evitando la retorica e i luoghi comuni del biopic dell’artista tormentata, il mondo intimo e poetico di Antonia Pozzi, morta sucida a soli 26 anni


TORINO. “Ho letto le sue poesie, studiato la sua vita, mi sono reso conto che c’era una possibile incarnazione cinematografica di questa donna e ne ho parlato a lungo con diverse persone fino a quando Ferdinando ha saputo raccogliere questo piccolo amo lanciato in un grande lago e poi realizzare un esordio molto personale. Del resto i film sono dei registi che li realizzano, e per questa ragione sono un produttore che felicemente non va sul set”. Così Luca Guadagnino, questa volta non dietro la macchina da presa, che insieme a Marco Morabito ha prodotto Antonia (sezione Festa mobile), l’opera prima del 29enne Ferdinando Cito Filomarino di cui già aveva sostenuto il corto Diarchia.
Antonia – con protagonista Linda Cariddi, di recente apprezzata nel film di Marco Tullio Giordana, Lea – narra gli ultimi 10 anni di vita della poetessa milanese Antonia Pozzi (1912-1938). Il liceo Manzoni, la famiglia alto borghese, l’innamoramento e la relazione impossibile con il suo ex insegnante di greco e latino, l’immersione nella scrittura poetica, l’università e l’incontro con i maestri e gli amici (Antonio Banfi, Remo Cantoni, Dino Formaggio), la sessualità, la passione per l’alpinismo e la fotografia, i tormenti esistenziali, il tragico epilogo.

L’esordiente Ferdinando Cito Filomarino raccoglie la non facile sfida di trasferire in immagini quel mondo intimo e poetico, evitando la retorica e i luoghi comuni del biopic sull’artista tormentata. Il film si conclude con l’avvertimento e il consiglio di Eugenio Montale che alla fine degli anni ’40, curando le edizioni delle poesie della Pozzi e ponendola tra i maggiori poeti del Novecento, dà il via alla scoperta e allo studio di questa importante intellettuale.
Il film, che ha avuto una menzione speciale della giuria all’ultimo Festival di Karlovy Vary, verrà distribuito da Good Films a gennaio in esclusiva a Milano al cinema Mexico – “marchio di garanzia del cinema di qualità e d’autore e faro per la distribuzione d’essai” per il produttore Luca Guadagnino – e poi nel resto d’Italia a febbraio.

Ferdinando Cito Filomarino come è avvenuto il suo incontro con la poetessa Antonia Pozzi?
Durante una conversazione con Luca è emerso che la figura di Antonia per le coordinate intime e per il contesto geografico sociale poteva essere il soggetto del mio primo lungometraggio. Leggendo le sue poesie e lettere ho sentito immediatamente una forte empatia, ho condiviso la sua ricerca e frustrazione rispetto al contesto in cui viveva. Un contesto che conosco molto bene: Milano dove sono nato e le montagne che arrampicava. Sapendo di giocare in casa, si trattava di fare il ritratto di Antonia dal punto di vista intimo e profondo piuttosto che raccontare la sua arte.

L’idea perciò non era quella di realizzare un biopic?
Esatto, ma di guardare alcuni momenti della sua esistenza e cercare di capire perché lei aveva bisogno di scrivere e di scattare fotografie. Come mai succedeva e le ragioni delle sue scelte, compresa l’ultima. Insomma trasformare in cinema questo suo mondo poetico, parallelo. Sì narrare l’epoca e le persone che con lei interagiscono, ma partendo dalla prospettiva intima di Antonia e tracciando il momento creativo.

Perciò i riferimenti al regime fascista di quegli anni sono indiretti?
Il padre è la più evidente manifestazione del mondo fascista, la mentalità, il linguaggio, le scelte e le priorità lo testimoniano. E allora capire, attraverso la prospettiva personale, il modo in cui lei viveva la sua quotidianità, il modo in cui interagiva con il mondo intorno e eventualmente l’impossibilità di questa interazione.

Che idea si è fatto di questa donna?
Una persona con una profondissima necessità di esprimersi, ma che in quel momento parla un’altra lingua, vive in un momento sbagliato anche se è figlia della sua epoca.

La difficoltà più grande di questo suo esordio?
Tutta la vita creativa ed emotiva di alcuni poeti, e di sicuro di Antonia, si svolge all’interno della persona. Se si guardano con attenzione le foto di lei in mezzo agli amici e alla famiglia si ha la percezione di una persona intensa, comunque mimetizzata che non si manifesta in modo eclatante. La difficoltà era mostrare nel film questo travaglio interiore.

Come ha scelto Linda Caridi?
Linda aveva recitato il monologo “Blu” diretto da Giampiero Judica che ce l’ha indicata per il casting. Subito l’abbiamo sperimentata davanti alla macchina da presa, apprezzandola molto. Tuttavia abbiamo proseguito a fare i provini con le allieve del Piccolo di Milano, dello Stabile di Genova, ma alla fine Linda si è rivelata la più brava e la più giusta per il ruolo.

Nel film le poesie di Antonia Pozzi non sono mai lette e talvolta compaiono le pagine da lei scritte e i testi stampati.
Non amo la poesia recitata, penso che la poesia sia parola scritta, un intervento orale nel film sarebbe stato una sorta di intrusione. La Pozzi fa poesia sulla pagina ed è così che vive. Queste poesie stampate sono un necessario accostamento, e in quanto parole stampate sono una sorta di testimonianza che la sua opera ha trasceso i quaderni scritti a mano e chiusi nel cassetto.

Un’intera sequenza del film viene commentata da una canzone di Piero Ciampi, cantautore degli anni ’60 e ’70. Una scelta provocatoria?
Ascoltando le sue canzoni e sapendo della sua vita, emerge tra Ciampi e Antonia Pozzi una sorta di affinità, nonostante le epoche diverse. La necessità di esprimersi, l’impossibilità d’interagire con il mondo secondo degli schemi normativi erano condivise da entrambi. L’unico modo in cui riuscivano a sopravvivere al disagio interiore era per tutti e due la poesia. Non dimentichiamoci che Ciampi ha iniziato con la poesia, poi è arrivato alla musica.

Antonia, grazie al suo film, parlerà ai giovani?
E’ un personaggio estremamente contemporaneo, credo che un sentimento che accomuna la storia di Antonia con quella dei giovani d’oggi è un vago senso di labirintite, di non riuscire a immaginare e visualizzare il domani. Antonia e i suoi coetanei, le persone a lei vicine per cultura, si trovavano in questa stessa condizione nel pieno del fascismo che non concepiva una società e una cultura che non fosse sua diretta espressione. 

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