Di attualità scottante in questi tempi di crisi, il tema del precariato inizia a essere molto frequentato anche sul grande schermo. Dopo il successo di Paolo Virzì con Tutta la vita davanti e la realizzazione di Generazione Mille Euro di Massimo Venier, ecco un’altra pellicola che affronta l’argomento: Fuga dal call center, ottavo capitolo del “Decalogo delle giovani vittime” di Federico Rizzo, regista brindisino trapiantato a Milano. Il film – prodotto da Cooperativa Gagarin e Ardaco Productions con il sostegno di enti locali, associazioni e sindacati – è stato l’evento di chiusura fuori concorso del Festival Filmmaker di Milano, svoltosi dal 19 al 30 novembre, occasione in cui il regista ha rilasciato un’intervista a CinecittàNews. Nel cast Angelo Raffaele Pisani, Isabella Tabarini, Paolo Pierobon, Natalino Balasso e Debora Villa.
La sceneggiatura del film, che ha scritto con Emanuele Caputo, è originale. Vi siete ispirati a qualche vicenda realmente accaduta?
L’idea è nata da una mia esperienza personale, perché mentre studiavo all’università ho lavorato per tre anni nei call center, ed è una realtà che conosco molto bene. Ne ho viste e sentite di tutti i colori, come molti miei amici ed ex-colleghi. Ma non volevo arrogarmi il diritto di parlare di un tema così delicato solo dal mio punto di vista, quindi ho fatto circa 1.000 video-interviste in tutta Italia, che costituiscono circa il 15% del film.
Che scenario esce da queste interviste e dal film che ci avete costruito intorno?
Un ritratto triste e agghiacciante di tanti lavoratori, che conoscono solo sogni infranti e un futuro impossibile. E’ un tema importante per la mia generazione e non solo, tant’è che gli intervistati vanno dai 16 ai 65 anni, perché a lavorare nei call center ci sono persone di tutte le età, che qui testimoniano l’alienazione, il maltrattamento quotidiano, questa forma di capitalismo selvaggio ultimamente ancora più estremizzata a causa della crisi.
Che chiave ha scelto per raccontare questa realtà?
Una chiave realistica ma condita di un umorismo cinico e feroce, nello stile delle commedie inglesi degli anni ’60; tra le mie ispirazioni c’è Gioventù, amore e rabbia di Tony Richardson. Sono convinto che noi cineasti dobbiamo sollevare problemi importanti senza arroganza; sarei felice se il mio film contribuisse a creare un dibattito costruttivo sul tema.
Quali sono le caratteristiche produttive di Fuga dal call center?
Abbiamo girato le interviste nel corso di sei mesi e la parte di fiction in 3-4 settimane in un call center ricostruito a Milano. Molti degli interpreti sono attori trovati proprio nei call center, persone che hanno saputo offrire un intenso, divertente e importante ritratto di una generazione. Il budget del film è di circa 500mila euro e prevediamo di farlo uscire tra febbraio e marzo 2009; al momento stiamo trattando con due distribuzioni.
Ultimamente sono stati realizzati diversi film sul tema del precariato. Si può parlare di nascita di un filone?
Negli anni ’70 si facevano i film sul mondo operaio, è naturale che in questa fase della nostra storia si facciano film sui lavoratori precari. Spero che emerga dal film il rispetto che abbiamo verso le persone che soffrono questa situazione; anche per questo abbiamo voluto documentarci solo con le testimonianze, senza coinvolgere politici e sindacati per non avere filtri e preconcetti. Ad esempio ho voluto dare spazio anche a chi sostiene che queste condizioni di lavoro sono normali.
Quale sarà il prossimo film del “Decalogo delle giovani vittime”?
Si chiamerà Lo stagista, e già il titolo dice molto. Sarà più drammatico e cinico di Fuga dal call center e parlerà del crollo delle aspettative e di cosa si è costretti a fare in situazioni di “emergenza”: di tutto.
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