28 anni e un curriculum da fare invidia. Federico Di Cicilia, avellinese doc, ha appena presentato il suo film d’esordio, Un altr’anno e poi cresco, commedia dolce amara che getta uno sguardo ironico, quasi paradossale, sui sintomi della depressione.
Il meccanismo d’indagine del protagonista è quello di un lungo sogno attraverso il quale Faustino, interpretato dallo stesso regista, sonda il suo isolamento affettivo ed esistenziale e la conseguente incapacità ad agire. Nel cast Novello Novelli, anziano professore d’italiano alle prese con la recente perdita della moglie; la giovane e brava Paola Cortellesi in coppia con Gabriele Mainetti e Nello Mascia, pediatra che all’occasione si trasforma nello psicoterapeuta di Faustino.
Il film, finanziato con un articolo 8 distribuito dall’Istituto Luce, uscirà il 6 luglio prossimo, a Roma e Milano.
Oltre a firmare la regia, lei ha scritto anche il soggetto e la sceneggiatura. Come è nata l’idea per questa storia?
Ho preso spunto da un articolo di cronaca. Una persona aveva tentato il suicidio assumendo una dose eccessiva di psicofarmaci e subito dopo aveva chiamato il pronto soccorso. La guardia medica lo ha trattenuto al telefono, riuscendo così a tenerlo sveglio e a salvargli la vita.
Il film si compone di una comicità a tratti surreale, che non manca di suscitare risate nello spettatore, ma il fondo della storia è tragico, no?
Volevo raccontare un malessere preciso, la depressione, senza per questo incitare gli spettatori al suicidio. Per questo il genere della commedia era lo strumento più adatto. La comicità nasce dal suo contrario, la mia in particolare riflette una necessità personale. Mi piace trattare argomenti pesanti con leggerezza.
Ha scritto il soggetto pensando da subito a una versione per il grande schermo, o piuttosto per il palcoscenico?
Il progetto è nato prima come un atto unico teatrale.
Il film ha ricevuto il premio della critica “Jeunes Public 2000 du Cinema Italien” e nella motivazione si parla di una comicità alla “Woody Allen”. Eppure sembrerebbe che lei si sia ispirato piuttosto a Troisi…
Certo. Massimo Troisi fa parte della mia cultura, della mia vita. In qualche modo l’ho copiato sperando che voi non mi scopriste. L’attore partenopeo è la mia guida.
La macchina da presa effettua molte riprese a schiaffo. Il montato è pieno di stacchi e dissolvenze. Dunque il racconto segue un ritmo sostenuto e piuttosto frammentato. Ma di solito la commedia ha tempi più lenti…
Ho cercato un effetto di frammentazione del racconto, così come è frammentata la coscienza del protagonista. Si tratta di una scelta stilistica limitata a questo film. I miei documentari sono molto diversi.
A un certo punto il protagonista muore ma continua a parlare fuori campo. Un omaggio a “La vita è una cosa meravigliosa” di Billy Wilder?
E’ un omaggio nato dall’esigenza del racconto.
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