“Ho scelto Locarno perché essere l’unico italiano in concorso garantisce al film un’attenzione speciale, che a Venezia non avrei certo avuto”, ci aveva detto Federico Bondi poco prima che il festival iniziasse e aveva avuto ragione. Il suo esordio Mar nero, in sala dal 30 gennaio, aveva conquistato tre riconoscimenti: il Premio Miglior Attrice a Ilaria Occhini, quello della Giuria Ecumenica e il Premio della Giuria Giovani.
Bondi, fiorentino, 33 anni, nessuna parentela col ministro dei Beni Culturali nonostante l’omonimia, è alla vigilia del suo debutto al box office con l’opera prima che ha scritto con Ugo Chiti. La storia di un’amicizia non insolita in questi anni di emigrazione e solitudini, quella tra una badante rumena e un’anziana signora fiorentina indurita dall’estraniamento – l’unico figlio, interpretato da Corso Salani, vive a Trieste con la moglie – e dai dolori alle ossa. Angela e Gemma sono Dorotheea Petre, giovane e sensibile interprete premiata a Cannes per The Way I Spent the End of the World, e Ilaria Occhini, in scena con tutti i grandi del teatro italiano, da Luchino Visconti a Luca Ronconi, forse meno apprezzata dal cinema, che stavolta però le ha regalato un’occasione indimenticabile. Mar nero è prodotto da Francesco Pamphili per Film Kairos con Rai Cinema e con i francesi di Manigolda (coproduttori anche del film di Tornatore, La sconosciuta); gode anche di contributi del MiBAC, che ha garantito un fondo per lo sviluppo, del ministero rumeno, della Toscana Film Commission.
Com’è il personaggio di Gemma?
E’ un classico carattere fiorentino, una donna che dice tutto quello che pensa come un fiume in piena. Ilaria Occhini ha fatto un provino strepitoso che me l’ha fatta preferire ad altre attrici più vernacolari, più adatte alla commedia. Inoltre tra le bellissime degli anni ’60 è una delle poche a essere invecchiata naturalmente e ha accettato con lucidità ed entusiasmo di mettersi in gioco con la mancanza di freni inibitori che è tipica della vecchiaia.
È vero che si è ispirato a sua nonna per scrivere questa storia?
Sì, al rapporto speciale che si era instaurato tra mia nonna e la sua badante. Dopo un paio di mesi che stavano insieme, mi resi conto che nella vita di mia nonna stavano cambiando diverse cose. Prima era una donna dura, a volte acida, che ti metteva di continuo in difficoltà, benché avesse tanto affetto da dare. Grazie alla pazienza e alla calma di quella ragazza, si è sciolta, e la sua badante è diventata come una nipote, che lei ascoltava come se guardasse una telenovela alla tv.
Non c’è in qualche modo una critica alla famiglia italiana, ormai incapace di cura e di attenzione verso le persone più fragili, in una società che pensa solo a produrre e a consumare?
Non volevo criticare la famiglia italiana, ma è vero che le persone anziane tendono a essere relegate perché lavoriamo dalla mattina alla sera. È proprio la solitudine a innescare la complicità tra le due donne: Gemma è vedova e Angela è lontana da suo marito.
L’ultima parte del film è girata a Sulina, sul Delta del Danubio, a un 1 km dal Mar Nero, e dipinge una società rumena quasi arcaica.
È così. La Romania, che nel film ho mostrato nel momento dell’ingresso in Europa, all’inizio del 2007, è un paese pieno di contraddizioni. Basta uscire da Bucarest per accorgersi che accanto ai ricchi a bordo dei Suv ci sono le baracche senza acqua corrente e i carri tirati dai cavalli, mentre un operaio può guadagnare davvero appena cento euro al mese. Però più del contesto sociale mi interessava raccontare la storia di un’amicizia e di una trasformazione. È una storia a cui lavoro da tre anni e mezzo e l’attualità, con le polemiche sui Rom, c’entra poco.
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