Il lato nero della letteratura contemporanea svedese: Millennium in principio era una saga poliziesca dei primi anni Duemila, scritta da Stieg Larsson, autore prematuramente scomparso, la cui fantasia artistica è stata portata avanti, in maniera completamente inedita, dal conterraneo David Lagercranz, autore del quarto capitolo, Quello che non uccide (2015), libro su cui si basa il film omonimo, in anteprima, e in selezione ufficiale, alla Festa di Roma.
Millennium è un mensile specializzato in inchieste: la penna di Mikael Blomkvist si occupa anche di Lisbeth Salander, genio della Rete e paladina estrema della giustizia al femminile, a scapito di quegli “uomini che odiano le donne”, appunto.
È Fede Álvarez, regista la cui firma s’appone principalmente sul cinema dell’orrore, ad aver diretto la versione cinematografica del quarto capitolo: il film precedente aveva visto David Fincher dietro la macchina da presa, questo è stato accompagnato nella Capitale dalla protagonista, Claire Foy (The Crown, The First Man), insieme a Sylvia Hoeks e Sverrir Gudnason, e dal regista uruguayano per cui: “La cosa principale da fare non è un paragone tra scritto e film, ma una trasposizione personalizzata, differente da quella degli altri. Il quarto libro era un ‘Agatha Christie scandinavo’, questo una sorta di James Bond un po’ folle. A me interessava molto lo sviluppo di Lisbeth Salander”, che in questo film è Claire Foy. “La cosa importante è non rendere il personaggio te, ma trasformare te in lui/lei”, ha detto l’attrice inglese. “Lisbeth non è simpatica, non fa nulla per essere attraente. Larsson ha creato un personaggio articolato e profondo. Il pubblico ama un personaggio così perché non è tradizionale, non è usuale. Non l’ho mai vista come un personaggio eroico: insomma, se la tagli sanguina. È inevitabile che ci fosse un impegno fisico e molta parte della sua espressività fosse affidata al linguaggio del corpo: questo aspetto il cinema lo valorizza, ad esempio in scene come quelle con il fuoco o altri elementi. In queste sequenze ho cercato di aggiungere qualcosa rispetto al romanzo. Del personaggio ho sempre ammirato la volontà di sopravvivere, in questo film un aspetto molto forte. Ha fiducia in se stessa, ha la volontà di farcela. Con la regina di The Crown ha però una somiglianza: entrambe non sono in grado di comprendere ed esprimere le proprie emozioni. Salander si è resa conto molto tempo fa che provare sentimenti fa male”, soprattutto innamorandosi del giornalista di Millennium, interpretato da Sverrir Gudnason (Borg McEnroe), un ruolo che in questo capitolo “riparte”, infatti: “Mikael all’inizio è molto depresso”, ammette Gudnason, “ma quando torna Lisbeth gli riaccende una scintilla: lui è l’unico che di lei si può fidare, e viceversa. Ogni volta che ti avvicini a un personaggio deve essere sempre un approccio differente. Lui è un giornalista da vecchia scuola, e come lei cerca la giustizia, ma in maniera differente”.
Nel cast anche Sylvia Hoeks (La migliore offerta di Giuseppe Tornatore), nel ruolo inedito di Camille, la sorella di Lisbeth, una candida e ghiacciata femmina scandinava di rosso vestita: “Sono stata davvero felice di creare questo personaggio, anche da appassionata dei libri. Camille è vulnerabile, la più vulnerabile delle sorelle: crescendo, tutti abbiamo meccanismi di sopravvivenza, per Camille era l’amore distorto del padre. Le due non possono ignorare il dolore comune: una cosa bellissima su cui ho riflettuto e che mi ha appassionato. Vedo Camille come uno strumento per mostrare parti ulteriori di Lisbeth che forse volevamo da sempre vedere”, ha dichiarato l’attrice olandese, che nell’eventualità di un ulteriore capitolo della saga cinematografica potrebbe essere uno dei personaggi cardine, anche se, ha dichiarato la Hoeks, “non riesco proprio ad immaginare ora come potrebbe definirsi il ruolo di Camille, in effetti non avevo nemmeno pensato a questa possibilità futura, ma se fosse così sarei davvero felice, ho molto amato contribuire a costruire il personaggio”.
La perfetta scrittura thrilling, sempre al passo dell’azione e con la capacità di tenere sospesi, senza incorrere mai nell’eccesso di enfasi, in cui le cromìe fredde e scure – spesso a contrasto – della sofisticata fotografia di Pedro Luque, – “un amico da una vita, con cui è stato semplice collaborare, ci capiamo subito” ha detto di lui il regista – concorrono da coprotagoniste della scena, potrebbe dar modo di leggere Lisbeth e il film come un universo supereroico, ma così non è, come fermamente ha spiegato Fede Álvarez: “Non amo i supereroi, li trovo oppressivi: Lisbeth viene presentata come una supereroina, ma poi cerco di esporla alla distruzione perenne. C’è sempre un elemento di autorivelazione del personaggio, quindi questo m’ispira, il fatto che lei alla fine sia umana. Questo film ha un tono che penso abbia un rapporto con gli altri miei precedenti, in particolare la suspense del mio ultimo film. Hitchcock diceva di girare una scena d’amore come fosse una di morte, e viceversa, e qui questo suggerimento è stato molto seguito. Lui e Brian De Palma li considero miei maestri”, ha concluso l’autore.
Il film esce in sala da 31 ottobre, distribuito da Warner Bros.
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"Questo film contiene un desiderio - ha detto De Angelis commentando il premio vinto alla Festa di Roma - ed è il desiderio di fare un regalo a chi lo guarda"
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