CANNES – Torna per la quarta volta a Cannes, dove ha vinto nel 2007 il premio per la miglior sceneggiatura con Ai confini del Paradiso, Fatih Akin, il regista tedesco di origini turche autore di La sposa Turca e Soul Kitchen. E in una Cannes blindata dai controlli e dal timore di attentati, lo fa con una storia di dolorosa attualità, In the Fade, dramma privato di una donna, Katja, la cui vita si sgretola improvvisamente dopo che marito e figlio vengono brutalmente uccisi in un atto terroristico. Gli accadimenti reali cui si ispira il film sono quello che, negli anni tra il 2000 e il 2007, videro il gruppo di neonazisti NSU perpetrare in Germania una serie di omicidi xenofobi. “Il reale scandalo di quella vicenda – sottolinea il regista – non furono tanto le morti ma il fatto che per una decina di anni polizia, stampa e opinione pubblica diedero la colpa ai turchi, che erano le vittime, insinuando il sospetto che gli attentati fossero un regolamento di conti per traffici di droga o per connessioni criminali all’interno della comunità degli immigrati”. Solo parecchi anni dopo quegli attentati sono finiti in un’aula di tribunale, in un lungo processo ancora in corso. Ma, come rimarca il regista, In the Fade è un film su un omicidio. Le motivazioni politiche, in questo caso legate al neonazismo, rimangono sempre sullo sfondo, come i personaggi dei due attentatori: “Non importa chi sono i terroristi, conta la perdita e quello che scatena a livello umano”. E a proposito dell’emergenza che tutti viviamo aggiunge: “Qualunque terrorista, non importa quale, è diventato la nostra ombra. Facciamo i conti nelle nostre vite con questa presenza, del fatto che potremmo esserne una vittima come quelle del Bataclan, di Nizza, di Berlino o di Manchester. Con questo conviviamo e nel mio film racconto il mio viaggio doloroso dentro il tempo di oggi”.
Il personaggio della madre dilaniata dal dolore – interpretata da un’intensa Diane Kruger che per la prima volta recita in tedesco – è una figura femminile indipendente, audace e senza pregiudizi. Ha una sua moralità e senso di giustizia che però vacillano nel momento in cui la sofferenza e il desiderio di vendetta la invadono. E quando un verdetto di non colpevolezza per insufficienza di prove assolverà la coppia di neonazisti sospettati dell’attentato, la donna si metterà sulle loro tracce. “Il carattere del suo personaggio si evolve man mano che la trama si snoda. Giustizia individuale e giustizia sociale a volte collidono, ed è quello che succede nel film. Nessuno può dire veramente come reagirebbe a un’esperienza del genere. Sicuramente gli incubi occuperebbero la sua mente, e questo film mi ha dato proprio la possibilità di dialogare con i miei incubi”. Un incontro fortunato, quello di Fatih Akin con Diane Kruger, conosciuta a Cannes nel 2012, quando il regista presentava sulla Croisette Polluting Paradise e l’attrice era in giuria. “Ci siamo conosciuti a un party sulla spiaggia e Diane mi ha confessato che avrebbe voluto lavorare con me. Quando scrivendo la storia ho capito che cercavo una protagonista bionda e ariana mi sono ricordato di lei. E’ un’attrice molto intelligente, curiosa e intuitiva, sul set mi ha dato dei suggerimenti ed io, che so essere anche un buon ascoltatore, li ho colti”.
Il personaggio di Katja è in un certo senso un’eroina contemporanea, che cerca di trovare nella giustizia il motivo per sopravvivere nonostante tutto quel dolore. “Ho cercato pian piano di entrare nel suo personaggio, così diverso da me – racconta Diane – cercando di somigliarle anche fisicamente. Ne ho imitato il modo di camminare, di entrare in un bar, ho scelto persino un altro tipo di musica da ascoltare nel periodo delle riprese. Ma soprattutto non ne ho mai giudicato le azioni, anche perché potrebbe capitare a chiunque, in questo contesto storico, di trovarsi nella sua situazione”.
Una delle immagini ricorrenti di Akin, che compare anche in questo film, è il mare: “Mia madre era una insegnante e mio padre un pescatore, quindi il mare ha sempre fatto parte della mia famiglia e del mio immaginario. Pensando al mare, anche in campo letterario e artistico, vengono alla mente immagini di donne e madri che aspettano sulla spiaggia i loro uomini tornare dalla pesca, timorose perché sanno che un mare in tempesta può significare anche perdita definitiva degli amati. Per questo per me il mare è metafora di morte, di cui rappresenta però un’immagine poetica e consolatoria”.
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