Farina l’ottimista. Una speranza per il paese

Arriva in sala giovedì 26 febbraio, in 20 copie, distribuito da Istituto Luce-Cinecittà Patria di Felice Farina, liberamente ispirato all’omonimo libro di Enrico Deaglio


Arriva in sala giovedì 26 febbraio, in 20 copie, distribuito da Istituto Luce-Cinecittà Patria di Felice Farina, presentato alle Giornate degli Autori di Venezia 2014 e liberamente ispirato all’omonimo libro di Enrico Deaglio (edito da ‘Il Saggiatore‘). Il film rappresenta un punto di incontro tra il pessimismo dello scrittore – oggi ‘esule’ in America – e una certa vena di ottimismo mostrata dal regista.

“E’ stato un film di splendidi incontri – racconta Farina – e anche a suo modo un’opera collettiva. Il libro superava le mille pagine. Ne ero molto preoccupato, in un certo senso mi rendevo conto che si trattava di un’impresa folle e a suo modo presuntuosa, forse anche arrogante. Devo molto al montaggio di Esmeralda Calabria che ha trovato la soluzione finale, costruendo la struttura emotiva del film. E poi ci sono tre attori di grande esperienza: Francesco Pannofino, Roberto Citran e Carlo Giuseppe Gabardini”. Pannofino canta tra l’altro un pezzo sui titoli di coda, ‘Sequestro di stato’, scritto nel 2006, che racconta però un’esperienza vissuta da giovane. “Ero uno studente diciannovenne – dice l’attore – ed ero in Via Fani, perché lì vicino abitano i miei genitori. Stavo andando all’università per una lezione di algebra e ho sentito degli spari. Chiaramente sono scappato dalla parte opposta e solo dopo sono tornato a informarmi su quello che era successo. Era il rapimento di Aldo Moro, chiaramente. Per un periodo mi ero messo in testa di scrivere canzoni e così l’ho scritta. Poi l’ho fatta sentire a Felice, gli è piaciuta e l’abbiamo registrata chitarra e voce, appositamente per il film”.

I due personaggi protagonisti sono due lavoratori in aria di licenziamento, uno di destra, attaccabrighe e guerrafondaio, l’altro di sinistra, pacato e intellettuale. Si ritirano sull’alto di una torre per protestare. A loro si aggiunge il guardiano della fabbrica, ipovedente e non proprio lucido. Alla fine – tra dialoghi intensi e l’utilizzo efficace di filmati d’archivio, a mo’ di flashback tematici – nasce un’amicizia: “E’ un momento – spiega Farina – in cui il pensiero è ondivago e c’è maggior disponibilità a riflettersi verso l’altro. Sono contento che esca ora. Nei bar di San Lorenzo sento la gente che parla di Craxi, di Amato, della Trattativa, di Di Pietro. Non è tanto una questione di larghe intese ma nella commedia umana dei personaggi era necessario mostrare anche questo aspetto. Non siamo più ai tempi di Ecce Bombo, dove Moretti picchiava un reo di aver detto ‘rossi e neri sono tutti uguali’. Deaglio non lascia speranze, io non la penso così. In questo racconto indichiamo anche una strada e una soluzione. In Italia il nostro principale problema è sempre stato la questione morale. Non mi piace fare il noioso, il secchione giustizialista e l’eterno nostalgico di Berlinguer ma l’Europa ci ha sempre bacchettato e questo per il rapporto che c’è tra corruzione e cittadino, che rientra nella nostra natura geopolitica. Certo viene da chiedersi come siamo arrivati alla nostra situazione attuale. Però io vedo che ci sono ancora tante piccole e medie imprese che vanno avanti a profitto zero, ma lo fanno per la voglia di non mollare. E tra queste c’è la mia Nina Film. Perché io penso davvero che la base della Repubblica sia il lavoro, anche se c’è chi lo ha messo in discussione”.

E in questo lavoro ben costruito di cinema artigianale a basso budget aiutano di certo le nuove tecnologie: “Senza il digitale – spiega ancora il regista – tante cose oggi non le fai. E’ vero per ogni industria. I musicisti registrano i pezzi in casa. Noi abbiamo i droni e il green screen che ti permettono di fare cose fantastiche a costi così bassi che solo cinque sei anni fa sarebbero stati impensabili. Il set è una vera fabbrica, ma sarebbe stato proibitivo portare la troupe in alto sulla torre, per cui abbiamo preferito ricostruirne la cima in un teatro di posa di Cinecittà e lavorare di sfondo verde, per poi aggiungere lo scenario realmente fotografato dalla torre in un secondo momento”.

“Il film lo devono vedere soprattutto i giovani – dice ancora Pannofino – io sono nato nel ’58 e dunque col dopoguerra relativamente vicino, ma era cronaca e non storia. I ragazzi di oggi devono conoscere la nostra storia per capire che non tutto è brutto nel nostro paese, non ci sono solo brutture e corruzione”.
“Tra l’altro – conclude Farina ancora in vena di ottimismo – sono rimasto molto positivamente colpito proprio dalla reazione dei giovani che lo hanno visto a Venezia. Certo erano i più attenti, accorti e preparati, ma hanno partecipato con verve, sfatando il luogo comune che li vede sempre immersi nei loro cellulari e nelle loro Playstation. I miei nonni mi raccontavano del fascismo e dei rastrellamenti, insomma le informazioni venivano ancora tramandate per via orale, mentre i giovani di oggi sono cresciuti nel mondo della cross-medialità frammentata. Vedere che sono ancora interessati alla nostra storia mi fa capire che ho raggiunto un obiettivo”.  

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18 Febbraio 2015

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