Farhadi: paese che vai, censura che trovi

Il regista iraniano ha girato in Francia "Il passato", "ma solo perché la storia lo richiedeva, non per essere più libero"


In Iran “abbiamo molti problemi, non c’è libertà a livello sufficiente, ma non vuol dire che negli altri Paesi ci sia. All’estero c’è più l’immaginario della libertà, ed anche questo è pericoloso, le persone sono convinte di essere libere, ma in realtà non lo sono”. Lo dice Asghar Farhadi, vincitore dell’Oscar per il miglior film straniero nel 2012 per Una separazione e dal 21 novembre nelle sale italiane con il suo nuovo, intenso dramma familiare, distribuito da Bim, in 80 copie, Il passato, che a Cannes ha ricevuto il premio per la migliore attrice (Bérénice Bejo) ed è stato di nuovo scelto come candidato iraniano all’Oscar. Farhadi per la prima volta ha girato al di fuori dell’Iran, in Francia, “non per essere più libero, ma perché la storia lo richiedeva”. In Iran, aggiunge, “dobbiamo combattere con la censura diretta, ma in altri Paesi come l’America c’è una censura forse ancora più forte che si chiama il capitale. Ho conosciuto moltissimi colleghi in Occidente altrettanto preoccupati del loro futuro, perché non riescono a realizzare i loro progetti e perdono le speranze”. Riguardo al nuovo governo iraniano Farhadi è “ottimista ma realista. Non penso ci saranno chissà quali cambiamenti, ma avverto, gradino per gradino, che stanno succedendo delle cose. I due ostacoli principali sono i gruppi radicali interni e alcuni governi stranieri che malgrado l’apparenza non amano il cambiamento perché guadagnano di più con un Iran non libero”. Il cineasta dà anche notizie di suoi colleghi condannati penalmente dal precedente governo e ora in libertà vigilata: “Tre settimane fa sono stato con Jafar Panahi a un concerto, mentre ho incontrato Mohamed Rasolulov tre-quattro settimane fa alla Casa del cinema iraniano, che è stata riaperta”. In Iran “tutti i registi che vogliono fare qualcosa di serio hanno problemi con la censura. Alcuni sfortunati si sono scontrati con un muro, altri, come me, sono riusciti a schivarla. Forse perché non critico il potere ma la società, in quanto penso che solo cambiandola si potranno anche avere governanti migliori”.

“Il mio nuovo film – prosegue Farhadi – racconta una rottura con il passato. Un tema che va oltre i confini iraniani, riguarda un po’ tutti, sia in chiave di relazioni private che di relazioni sociali più ampie. Ogni Paese ha i suoi fardelli pesanti di cui non sa liberarsi, ad esempio guerre con cui non sa fare i conti”. Come nei suoi precedenti film, anche stavolta ”è la donna che vuole il cambiamento, mentre gli uomini rappresentano la tradizione e la fissità. Forse perché le donne possono partorire e hanno insita in sé l’idea di futuro”. Farhadi è un grande amante del cinema italiano (“Il film più bello sul rapporto padre-figlio è Ladri di biciclette, mentre il più bel film d’amore è La strada“. Il prossimo film lo girerà in Iran o all’estero? “Ancora non lo so, ho in mente varie storie, deciderò entro la fine dell’anno”. 

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18 Novembre 2013

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