Nessun film, a Torino, ma una fortissima – e varia – presenza non fiction che va dal privatissimo Un’ora sola ti vorrei di Alina Marazzi ai Diari di Pieve Santo Stefano prodotti dalla Sacher di Moretti-Barbagallo passando per la rievocazione del ’77 bolognese di Guido Chiesa o per Luci di Brindisi, un’operazione abbastanza eccezionale, su scala europea, “resa possibile dalla presenza di Canal plus in vari paesi”. A tracciare un bilancio che dal Torino Film Festival si allarga a un quadro più generale, è Fabrizio Grosoli, commissioning editor per i documentari, in pratica responsabile delle acquisizioni di Tele+.
Grosoli, cosa è cambiato nel panorama del documentario italiano?
Sono cresciuti gli spazi di distribuzione, qualche film è addirittura uscito in sala, tra gli autori è aumentata la consapevolezza: il documentario non è più considerato un genere minore e ci sono molti registi che alternano fiction e non fiction.
Per un produttore vale la pena di investire in questo settore?
Sì, anche perché i budget in Italia sono estremamente bassi. Siamo sui 50-75mila euro, rispetto a una media europea radddoppiata. Per una tv è possibile preacquistare documentari con cifre di 25-30mila euro.
Cosa comporta il basso budget dal punto di vista dei contenuti?
Si tendono a preferire storie contemporanee e microstorie, magari simboliche rispetto a situazioni più generali, ma comunque circoscritte. E poi si tende a considerare il documentario come molto vicino al reportage, anche perché le televisioni lo privilegiano. Si trascura un po’, invece, la riflessione sui diversi generi.
Che qui a Torino, invece, sono abbastanza rappresentati.
Sì, dalla ricerca estetica prossima alla videoarte di Luca Pastore al cinema diretto di scuola americana di Pesci combattenti di D’Ambrosio e Di Biasio, con la camera che si inserisce in un ambiente e quasi si mimetizza, a Guido Chiesa che, con Alice è in paradiso, ricostruisce un periodo storico su cui i conti sono ancora aperti con umorismo e leggerezza, fino a Un’ora sola ti vorrei di Alina Marazzi, un caso più unico che raro, perché si basa su materiali autobiografici, i super8 di famiglia, che sono però già cinema.
Parliamo di finanziamento pubblico.
Non esiste finanziamento pubblico, anche se le associazioni di categoria e in primo luogo Doc/it lo rivendicano. Attualmente si può accedere al fondo se si viene presentati come lungometraggi, ma è un caso abbastanza raro. E’ successo con Cuore napoletano.
Come cambierà la politica di Tele+ sul documentario con il nuovo assetto proprietario?
E’ presto per dirlo, ma credo che cambierà radicalmente. Il modello di tv di Murdoch è l’opposto di quello francese. Si passa da una rete premium, semigeneralista, che proponeva il meglio dei vari generi, a un modello sky di sole reti tematiche specializzate.
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