C’era una volta Po, panda docile e gentile quanto pigrotto e maldestro: nella Valle della Pace, antica Cina, lavorava presso il chiosco di spaghetti del papà adottivo, il signor Ping, un’oca che sperava di lasciargli in eredità l’attività culinaria, mentre l’urside sognava di divenire un’eccellenza del kung fu.
Era (cinematograficamente) il 2008 quando dal mondo della fantasia animata si presentava sul grande schermo Kung Fu Panda, e con Po tutta un’allegra combriccola, capofila il maestro Shifu, saggio panda rosso dall’animo zen.
E se allora la voce italiana di Po era stata affidata a Fabio Volo, quasi 16 anni più tardi e tre film dopo, Po – nel suo parlar italiano – non ha abbandonato e sostituito la sua voce (così non è accaduto per l’originale, Jack Black), come – a onor del vero – non l’ha cambiata nemmeno Shifu, che Dustin Hoffmann era e Dustin Hoffmann è (nella versione originale).
“Po si è evoluto e questa storia rappresenta una fase importante della vita di tutti noi”, secondo l’attore. “Nel primo film c’era una sorta di adolescente, che aveva un richiamo contrario alle aspettative della sua famiglia; da adolescente devi avere la forza incredibile del ‘non piacere’, a tuo padre che ti vuole avvocato, a tua madre che ti vuole sposato, deludendo tutte le aspettative intorno a te: siccome, invece, siamo creature che vogliono essere amate tendiamo a fare quello che gli altri ci chiedono, ma alla fine della vita non si amano mai né i buoni né gli accondiscendenti, ma le persone autentiche e Po ha avuto questa forza, ha fatto le sue battaglie come un Ulisse, e adesso è il momento di tornare a casa; lo stesso coraggio che ci vuole da adolescenti per entrare nella vita, ci vuole anche dopo per uscire, perché tutto diventa confort zone; fare un passo indietro nella vita, se ti identifichi in ciò che fai, è difficile ma noi non siamo ciò che facciamo, siamo ciò che siamo, e quello che facciamo è un espediente per indagare su di sé. E Po adesso deve fare questo passo e imparare la battaglia del ‘sentire’, sentire chi ha intorno e accogliere le situazioni e il suo decadimento. Kung Fu Panda 4 è uno dei miei preferiti perché è inaspettato che un personaggio, un guerriero, arrivi a un punto in cui gli si chiede di fare un passo indietro ma di esistere comunque, infatti potrebbero essere scritti Kung Fu Panda 5, 6, 7…, perché c’è ancora molto da dire, anche se adesso smette di essere ciò che è sempre stato”.
La fiducia in sé e quella riposta, l’identità, la voce interiore e il valore della promessa, ma anche la famiglia come caposaldo in qualsiasi circostanza a cui l’esistenza chiami: su queste colonne portanti per l’individuo si costruisce la commedia d’azione Kung Fu Panda 4, in cui il nostro Panda è il Guerriero Dragone, seppur sia giunto il tempo, come gli ricorda Shifu, di passare il testimone, per progredire – grazie al dono ricevuto, il Bastone della Saggezza – per viaggiare tra i regni, con un passo più spirituale, nel nome della saggezza e della speranza.
“Sono stato molto fortunato perché il personaggio Po mi somiglia molto”, continua Volo. “Kung Fu Panda è uno dei film più autobiografici a cui abbia mai partecipato. Quando lui racconta, per interpretarlo io mi sono un po’ basato anche sul mio vissuto, perché sono molto simili”, commenta l’attore a proposito dell’intenzione necessaria nel dare la voce al panda, un’intenzione per la maturità anagrafica di Po ma anche una maturità vocale per Fabio Volo. “Po ha un cuore fanciullo, è molto coraggioso ma ha un cuore bambino, tanto che anche davanti a una bella mossa di kung fu di un nemico si stupisce, perché non conosce cattiveria: è abbastanza facile da interpretare perché è un entusiasta, buono; per quanto riguarda la maturità della mia voce forse è solo invecchiata perché non ho fatto grandi lavori in merito, piuttosto guardo la scena e cerco di capire quale sia l’emozione per raccontarla, certo ho anche un orecchio allenato, facendo un’ora di radio quotidianamente da 23 anni, che sicuramente è una grande palestra. Poi, io ho la fortuna di poter fare la voce di Po ai miei figli, con cui abbiamo guardato i tre film del Panda prima di questo: ci siamo molto divertiti perché ognuno in base all’età – loro 8 e 10, io 50+1 anni – coglie quello che deve cogliere; io ascolto quello che loro notano, mi affascina, e magari diventa uno spunto per parlare, anche di altro”.
Nella vicenda, è un po’ perplesso Po, docile d’animo ma più confidente con metodi “zampeschi” che ascetici e, prima di approdare alla sua consapevolezza e alla scelta di passare la mano, un’avventura vivace e dolce, adrenalinica e tenera, lo mette alla prova un’altra volta, lui che è sopravvissuto più volte – nelle vicende precedenti – nell’affrontare nemici acerrimi e circostanze avverse: eppure, questa volta, il gioco della vita, e la minaccia dell’esistenza della Valle della Pace, lo mette al centro di una contesa dalle sfumature cangianti, in bilico tra l’essere e il non essere della perfida Camaleonte (Viola Devis, nell’originale), strisciante e mutaforma maga, frustrata per non aver mai posseduto il talento del kung fu, che si prefigge di assorbire risvegliando dal Regno degli Spiriti, con il Bastone posseduto da Po, tutti i villain che il panda ha sconfitto.
“C’è una poesia bellissima di Guido Gozzano, che dice ‘mio cuore, monello giocondo che ride pur anco nel pianto, mio cuore, bambino che è tanto felice d’esistere al mondo’: io mi ci sono sempre ritrovato in queste frasi, perché sono proprio uno che ama stare al mondo. Di Po mi piace, infatti, anche la mancanza di giudizio. Quello che io imparo dal personaggio non è tanto quello che dice ma la bontà e la gentilezza con cui fa le cose, perché sente ciò che è giusto, sente il bene e lavora per quello”. Nella vita, Volo riconosce di non aver mai fatto volentieri passi indietro: “sono cresciuto proprio con la cultura del ‘non mollare mai’, era una cosa che mi ripeteva mio papà in dialetto. Invece, poi, sono arrivato a un punto in cui mi sono accorto che accogliere le situazioni scioglieva i problemi senza intervenire: non era più uno scontro, era un arrendersi ma non necessariamente era peggio, perché a volte quello che desideriamo non è quello di cui abbiamo bisogno”. Po s’avvicina al suo cambiamento attraverso l’avvicinamento a una pace interiore, che appartiene anche a Fabio Volo: “io medito da tanti anni” dice, e “la spiritualità mi ha sempre affascinato sin da bambino, quando dormivo con la statuetta di Gesù invece che con il peluche; poi, in base all’età, ho fatto dei percorsi, certo non potendo dire a 9 anni che mi affascinasse ‘quello che trascende l’uomo’, non c’ero arrivato quando facevo il chierichetto, ma lo sentivo, e adesso sono la somma di tutte queste cose e ho la mia strada, con le mie pratiche”. E il film, tra sacro e spirituale, tocca anche l’aldilà, inteso come eredità che può arrivare dal passato, da chi c’è stato prima di noi e Volo riflette ricordando che “la Bibbia dice: ‘le colpe dei padri ricadono sui figli’, ovvero tutto ciò che un padre non ha risolto dentro di sé lo deve risolvere il figlio; la Bibbia dice che sei condizionato da almeno sette generazioni, una linea di irrisolto che devi gestire tu, e quel che non risolverai lo passerai a tuo figlio; quando sono stato in Amazzonia o in Messico, durante cerimonie importanti, ho appreso che i tuoi antenati sono i tuoi maestri, a cui devi chiedere, perché tu sei la somma di tutti loro”.
Nella trama di Kung Fu Panda 4, tra necessità e scaltrezza, tra male e bene, sulla strada verso Juniper City, residenza del malefico rettile femmina, Po incontra una volpe corsac Zhen (Awkwafina), ispirata dal Guerriero Dragone o adepta fedele della malefica strisciante? “Tutti i cattivi si possono comprendere” per Volo, “perché ‘cattivo’ è un uomo che ha sofferto, come Joker, per cui non lo giustifichi ma lo comprendi: poi, cattivo deriva da una parola che significa prigioniero, per cui cattivo è semplicemente uno che è prigioniero di una paura, di una competizione, minacciato da qualcosa, dunque si comporta in maniera errata. La Camaleonte è cattiva, infelice, perché è tutti tranne che se stessa: è molto simile al periodo presente, quello dell’intelligente artificiale; nel personaggio c’è un nemico molto contemporaneo, per cui tu vedi una cosa e invece se vai a indagare c’è tutt’altro: mi piace molto perché la trovo una minaccia molto simile ai nostri tempi”.
In un tripudio di bellezza estetica animata, dalla morbidezza sinuosa e armonica dei paesaggi naturali cinesi ai dettagli sofisticati dei costumi della Camaleonte, disegnata tra imperiali dettagli d’abbigliamento e mutevoli quanto monumentali trasformazioni visive, il film diretto da Mike Mitchell (Trolls, Shrek e vissero felici e contenti; Gigolò per sbaglio) è un luna park delle possibilità tecniche dell’animazione, che rapiscono alla visione il pubblico dei piccoli, ma affascinano quello adulto, nella consapevolezza del maestoso mestiere che sta dietro alla visione di questo piccolo capolavoro firmato DreamWorks Animation: “sono circa 500 le persone che hanno collaborato a questo film, e che hanno apportato diverse prospettive alla storia”.
Senza retorica né pedanteria d’esser portatore di “messaggio” a tutti i costi, seppur il panda Po sia pur sempre maestro, e con lui ancor più Shifu, e dunque “l’insegnamento” appartenga per natura alle loro esistenze, Kung Fu Panda 4 giunge alla conclusione che lo scopo nelle cose della vita sia “fare la cosa giusta” e che “il vero cambiamento viene da dentro”, dall’anima e dal cuore di ciascun essere vivente.
Kung Fu Panda 4 esce al cinema dal 21 marzo con Universal.
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