Arriva in sala il 30 luglio con Universal Ex machina, thriller futuristico ma non troppo a firma di Alex Garland, già visto al Bif&st. La pellicola, che a prima vista sembra narrare una storia già vista mille volte – e a modo suo lo fa – da Frankenstein, al mito di Prometeo, passando per Intelligenza Artificiale, Blade Runner e Terminator, nasconde però parecchie sorprese sia nell’intreccio che nell’approccio concettuale e visivo, tra filosofia e videoarte, citazioni di Kubrick e contrasto tra alta tecnologia (ai limiti del prodigio sovrannaturale. Come dice una battuta del film “è la storia di Dio”) e natura incontaminata.
La location è un bunker disperso da qualche parte in Norvegia (le riprese si sono svolte tra Valldal ed il fiordo Sognefjord). Il plot rispetta le ‘unità aristoteliche’ di tempo, spazio e azione, dando vita a una tragedia dalla struttura abbastanza classica che trova il suo punto di forza nel perfetto equilibrio di toni e in una trama ricca di sfumature molto meno scontate di quello che ci si potrebbe aspettare. Esattamente come la sua protagonista, l’androide di genere femminile Ava. Alicia Vikander è seducente nonostante il suo corpo sia costituito in gran parte di vetroresina e filamenti elettrici. Il resto è una maschera, definizione più o meno vaga di una persona, come a teatro. Lei stessa si sta cercando, e soprattutto sta cercando di capire quale sia il ruolo che le spetta nel suo piccolo mondo.
Il film racconta di Nathan (Oscar Isaac), programmatore miliardario, sorta di Steve Jobs all’ennesima potenza, che coinvolge Caleb (Domhnall Gleeson), esperto di robotica, nel testing di Turing (quello che valuta quanto una macchina sia davvero umana). Alla prova la sua ultima invenzione: un robot-donna dotato di un’avanzatissima intelligenza artificiale. Ma anche di sentimenti e di una sessualità definita e spiccata. Il ragazzo si ritroverà a trascorrere una settimana in compagnia di Ava in un’isolata e avveniristica villa, piena di tecnologia, di proprietà di Nathan, uomo geniale ma inquietante ed ambiguo, appassionato del culto del corpo oltre che della mente. Ma non tutte le pedine sono al posto che ci si aspetterebbe e a un certo punto ci si chiede chi sia la cavia e chi lo scienziato.
“Il film – spiega Garland, passato da sceneggiatore all’esordio alla regia – parla di tre persone che mettono a confronto i loro cervelli, di come si mettano reciprocamente alla prova, di come tentino di sconfiggersi l’un l’altro mentalmente e formino alleanze tra di loro.Parla di tecnologia e del ruolo che questa gioca nelle nostre vite e anche della paranoia nei confronti dell’intelligenza artificiale e dei computer. Io però mi avvicino a questa questione da una angolazione leggermente diversa, perché non ho paranoie rispetto alla storia del film e anzi la mia simpatia, alla fine, va al robot”. Incisivo anche il look del robot, che riesce a trasmettere al contempo inquietudine e dolcezza: “Non volevamo che sembrasse uno dei tanti robot del passato. E’ stata così utilizzata una rete, una maglia metallica come una ragnatela con alcuni punti luce attraverso cui si può guardare dentro e vedere la struttura dello scheletro. Non volevamo che fosse troppo elettronica o troppo meccanica, ma una sovrapposizione tra naturale e robotico”.
Nel film, come in tragedia, non esiste il libero arbitrio: qualsiasi scelta porta un male e un bene secondo una diversa prospettiva morale, e il cammino dei protagonisti, come quello dell’umanità, è segnato. E’ l’evoluzione a decidere, più che il singolo individuo. E il ‘Deus’ che dovrebbe scendere ‘Ex Machina’, non a caso assente anche dal titolo, non è detto che sia qui per salvarci.
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