Eugenio Mira: “Con Grand Piano cito Hitchcock e De Palma”

In sala a febbraio con M2 Pictures il film che conclude il 31° TFF. Ne parliamo con il regista spagnolo, amante del thriller e della musica


TORINO – “Suona una sola nota sbagliata e morirai”. Hitchcockiano quel tanto che basta per mandare in visibilio i cinefili, Grand Piano è il film di chiusura del 31° TFF, un festival “pop” premiato da un 35% in più di incassi. Un thriller (o un metathriller come preferisce definirlo l’autore) che racconta la storia di un pianista molto dotato, Tom Selznick, un enfant prodige della tastiera che non si esibisce più in pubblico dopo un catastrofico concerto che ancora in molti ricordano. Ma in occasione della sua rentrée sulle scene, molto voluta  dalla moglie Emma, star di Hollywood che ha appena vinto un prestigioso premio, Tom capirà il vero significato della fobia da palcoscenico. Da qualche parte nella sontuosa sala della Filarmonica di Chicago c’è infatti un cecchino che ha un fucile di precisione puntato su di lui e se sbaglierà una sola nota quel fucile sparerà sulla sua fronte o su quella della sua bella signora, seduta in un palco. Il problema è che Tom, per sopravvivere, deve eseguire il brano più difficile del mondo, la leggendaria Cinquette, impresa in cui finora nessun interprete, per quanto virtuoso, è mai riuscito.

Nel ruolo del pianista c’è il giovane Elijah Wood (quello della trilogia del Signore degli Anelli), mentre John Cusack è l’assassino, che per due terzi di film non vediamo ma di cui sentiamo la voce, insieme al protagonista, attraverso un auricolare. Diretto dallo spagnolo Eugenio Mira e scritto da Damien Chazelle, Grand Piano è una coproduzione tra Spagna e Stati Uniti, che in Italia uscirà nel febbraio 2014 con M2 Pictures. Mira, estimatore oltre che di sir Alfred Hitchcock, anche di Brian de Palma e Spielberg e appassionato di cinema d’azione, ha spiegato: “Il mio gioco è mettermi a fianco dello spettatore e cercare di capire con lui cosa sta succedendo, senza aiutarlo, per lo meno nella prima parte, a capire se ciò che vede è reale o immaginato dal pianista terrorizzato, come una specie di un incubo “. Il film, le cui riprese sono durate 44 giorni, tra Barcellona, Chicago e Las Palmas, è un insieme di immagini dal vivo e digitali “perché lavorare davvero in un teatro con 4.000 spettatori sarebbe stato difficile e molto più costoso. Il 90% del pubblico è stato realizzato in digitale e l’azione del film è in tempo reale, la durata di un concerto, un’ora e mezzo con la telecamera quasi sempre incollata sul volto del pianista e sui tasti del preziosissimo strumento appartenuto a un facoltoso musicista svizzero, di cui Tom Selznick è una specie di erede spirituale.

Come descriverebbe il personaggio di Selznick? 
È un uomo all’antica. Mentre la moglie è all’avanguardia, lui è a disagio con la tecnologia, usa male il cellulare e non ha mai posseduto un tablet. Lei è una diva, famosa e apprezzata, lui un uomo schivo e restìo a esibirsi in pubblico. Tutto questo crea un effetto di ironia e a tratti addirittura grottesco.

Lei rende chiaramente omaggio a Hitchcock.
Sì, è vero, la prima parte del mio film è un mistery movie alla Hitchcock, in particolare ho pensato al crescendo di suspense dell’Uomo che sapeva troppo nella scena finale in teatro con James Stewart, Doris Day che guarda e il killer che fissa l’orchestra in attesa del momento giusto per sparare all’ambasciatore. Ma la mia idea di cinema ha un tocco di perversione, così nella seconda parte cerco di rompere le convenzioni con un colpo di scena antiamericano e il culmine di questa sfida è nel finale. In fondo Tom riconosce il suo valore proprio grazie a quella voce che arriva dall’alto, come da Dio, e che gli dà ordini sempre più perentori. Ma lui, con tutta la sua timidezza, non è così diverso dal cattivo ed ecco perché Grand Piano non potrebbe essere un film hollywoodiano. Per la sua ambiguità, perché non capisci più chi è il cattivo. Tom all’inizio non vorrebbe salire sul palco e alla fine mostra il suo lato oscuro.

Lei è anche un musicista: come ha lavorato alla parte musicale del film?
In effetti suonavo il piano da bambino e ho composto io le colonne sonore dei miei due film precedenti. In questo caso non potevo farlo, data la complessità della musica presente nel film, ma ho dato al compositore Victor Reyes delle indicazioni molto precise. Mi sono calato nei due ruoli e ho registrato su alcuni brani musicali i tempi esatti sincronizzando azione e movimenti musicali. Ho verificato che quattro pagine di script corrispondevano a 6 minuti di film. Per fare questa sorta di story board sonoro ho usato brani di 19 concerti diversi cercando il ritmo e la scansione giusti. Ma mentre la mia era un’operazione alla Frankenstein, il compositore ha creato due brani inediti apposta per il film: il concerto per pianoforte e orchestra e La Cinquette, il brano finale, che contiene frammenti tecnicamente impossibili da eseguire nella realtà. Grazie a un coach Elijah Wood ha suonato realmente il pianoforte e le mani che si vedono inquadrate sono davvero le sue. 

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