Ettore Scola ci parla di sé, dei suoi esordi, della presunta crisi del cinema italiano in un’intervista esclusiva, realizzata da Morri e Canale, sul set di Concorrenza sleale. Il suo nuovo film, presto nelle sale italiane e molto probabilmente in vetrina al festival di Cannes.
Ecco come lo raccontava a Bruno Vecchi la scorsa estate:
Marciano le camicie nere e i gerarchi fascisti, al grido di “Viva il Duce”.
Camminano in fila per tre, come bravi scolaretti, i balilla e le piccole italiane, tendendo il braccio in segno di saluto verso il buio profondo del loro destino.
Sferraglia un tram del desiderio, intonando la canzone degli sposi per il Duce. A guardarlo, dietro l’impalcatura che delimita il campo visivo della cinepresa, questo tempo di ieri che avanza a passo di parata verso il tempo di oggi, mette i brividi.
Anche se siamo su un set. Anche se lo scorcio di via Settimiano, quartiere Prati, è stato ricostruito in un angolo di Cinecittà. Anche se i 600 fascisti che travolgono ogni speranza di libertà, fraternità e civiltà sono in realtà 600 comparse che si muovono agli ordini del regista. E questo sabato fascista, di un giorno di primavera del 1939, altro non è che l’ultimo ciak, dopo 10 settimane di lavorazione, di Concorrenza sleale.
Il nuovo film di Ettore Scola, prodotto da Franco Committeri, che rievoca l’inizio, nell’Italia fascista, delle persecuzioni razziali contro gli ebrei.
Un tempo sospeso sul baratro dell’orrore che il film ripecorre nel racconto delle vicende pubbliche e private di due commercianti del quartiere Prati: Diego Abatantuono (“Un cattolico, apolitico legato soltanto ai propri interessi”, lo descrive Scola) e Sergio Castellitto, il negoziante ebreo, vittima delle persecuzioni e spogliato dal regime di ogni cosa, perfino della radio.
“A rileggerle oggi, quelle leggi fanno orrore”, dice ancora il regista. E a chi gli chiede che tipo di film sarà Concorrenza sleale, risponde sorridendo: “Un film alla Scola”.
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