Vivere rinchiusi nelle quattro mura della propria stanza, giorno dopo giorno, fino a confonderli in una ripetitiva e asfissiante routine: sembra la descrizione di ciò che un po’ tutti abbiamo vissuto in questi ultimi due anni di lockdown e quarantene forzate. Eppure è la vita che migliaia di giovani persone si scelgono, in Italia come in tutto il resto del mondo. È la vita degli Hikikomori, un termine giapponese che inizia a diventare riconoscibile anche qui da noi e che definisce coloro i quali, perlopiù adolescenti e post-adolescenti, decidono di vivere reclusi nelle proprie stanze rinunciando a qualsiasi tipo di socialità.
Il documentario Sky Original Essere Hikikomori. La mia vita in una stanza è il primo film italiano che affronta questa problematica sociale in ampio aumento sul nostro territorio (si contano almeno 100mila Hikikomori solo in Italia). Il film, prodotto da Sky e Fidelio, scritto e diretto da Michele Bertini Malgarini e Ugo Piva, andrà in onda sabato 29 gennaio alle 21.15 su Sky Documentaries e sarà disponibile anche on demand e in streaming su NOW.
Protagonisti del documentario sono tre ragazzi e una ragazza tutti compresi tra i 19 e i 24 anni d’età. Questi quattro Hikikomori vivono reclusi in condizioni e per motivazioni molto diverse: c’è chi vive in un ampio seminterrato dipingendo tutto il giorno e uscendo solo per far passeggiare i cani, chi vive fuori sede con dei coinquilini ed è costretta a fare la spesa una volta ogni due settimane per non farsi vincere dai morsi della fame, chi passa le giornate tra videogames e chitarre elettriche e crede che il padre sia il suo peggior nemico, chi tira con l’arco in corridoio sperando in qualcosa di migliore.
Eva, Alessio, Alessandro e Davide sono quattro giovani intelligenti e creativi, con caratteri molto diversi e sfaccettati, ma accomunati dallo stesso disagio generazionale che li convince, quasi li costringe, a credere che fuori dalle mura della propria stanza non ci sia niente per cui valga la pena di uscire. Nella loro condizione di reclusi hanno trovato modalità simili per sopravvivere. Hanno invertito, ad esempio, il ciclo giorno-notte: si svegliano quando cala il sole, confortati dalla pace e dal silenzio della notte, e si addormentano alle prime luci dell’alba, quando il mondo torna a muoversi rumorosamente, costringendoli a confrontarsi con ciò che li circonda.
Per comprendere la loro situazione il documentario si arricchisce di un corto animato, realizzato dagli stessi protagonisti, che mette in scena con efficacia una storia post apocalittica, in cui l’umanità si trova costretta a vivere nel sottosuolo, per sfuggire a un ambiente superficiale sempre più inospitale. Una puntuale metafora della vita di questi giovani, costretti a chiudere dietro le tapparelle della propria stanza un mondo che li spaventa.
Da non dimenticare l’intervista a Marco Crepaldi. Giovane psicologo, youtuber e fondatore dell’Associazione Hikikomori Italia, Marco da anni si occupa di questo tema che, soprattutto a causa della pandemia, ormai inizia a emergere sempre più prepotentemente, proprio come accade in Giappone, dove ormai la reclusione volontaria è un problema sociale ampio e conclamato.
Parlano, infine, anche alcuni dei genitori dei protagonisti, vittime secondarie della condizione in cui si trovano i figli. Perennemente oppressi dal senso di colpa e dall’impotenza, padri e madri si incontrano in riunioni in cui confrontarsi e trovare, se non soluzioni, almeno conforto reciproco. Ed è proprio a loro a cui probabilmente questo documentario parla principalmente, a quella generazione per cui è impensabile non uscire di casa quando c’è una bella giornata, una generazione che non capisce come i giovani riescano a trovare tutto ciò di cui hanno apparentemente bisogno dietro a uno schermo.
Essere Hikikomori. La mia vita in una stanza, con la sua semplicità e con le sue piccole pillole di speranza, è un prodotto importante, che merita di essere visto un po’ da tutti, non solo per conoscere un problema sociale, ma anche, perché no, per aiutare a prevenirlo.
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