È un concentrato di energia il giovane Eros Puglielli. 28 anni e già due film come regista. Nel 1993 gira il video Dorme: Andrea Occhipinti se ne innamora e lo trasforma in pellicola nel 2000. Poi è venuto il Centro Sperimentale, numerosi cortometraggi e altrettanti premi. Con Il pranzo onirico e I racconti di Baldassarre conquista pubblico e critica dei festival di Venezia, Siena e Annecy. Mantenendo la stretta collaborazione con Cristiano Callegaro, che lo affianca alla sceneggiatura e recita nei suoi lavori, Eros Puglielli torna nelle sale con Tutta la conoscenza del mondo, in uscita il 31 agosto. Giovanna Mezzogiorno e Giorgio Albertazzi sono protagonisti di questa storia in cui il filmaker mette in scena, nel suo consueto modo scanzonato e ricco di paradossi, la ricerca delle risposte alle domande centrali dell’esistenza umana.
Da dove viene l’ispirazione per la storia del film. Forse dalla cultura new age?
Viene dalle storie sufi antiche. Mi hanno sempre colpito per il modo con cui affrontano anche i temi alti: l’ironia di quei racconti ha confermato l’idea leggera che ho e che voglio far emergere sugli argomenti al centro del film. Non credo che l’approccio new age alla ricerca di sè faccia male, non è pericoloso ma forse non è la cura migliore. Ovviamente ho una mia posizione su questo movimento e su chi lo segue e credo che esista qualcosa oltre la percezione dei cinque sensi.
Si può davvero aspirare alla conoscenza del mondo?
L’essere umano ha dei limiti nell’assimilazione e nella gestione delle informazioni. La fetta del nostro cervello destinata all’intelletto è uno strumento, non è il tutto. Siamo tutti presi dalla vertigine intellettuale, ma ci scontriamo con i nostri limiti. Il mio film punta più che sull’inammissibilità delle domande, sul fallimento delle risposte. Il personaggio di Claudio sbaglia magari nei comportamenti, ma intraprende un percorso sincero e alla fine capisce che la mente è uno strumento inadeguato per afferrare la realtà. Per cogliere la bellezza delle cose non basta tutta la conoscenza del mondo.
Hai scritto la sceneggiatura con Gabriella Blasi. Come avete lavorato?
Abbiamo scritto la storia in 10 mesi. Abbiamo capito che la semplicità sarebbe stata l’arma vincente per arrivare all’obiettivo: portare questa tensione all’oltre nella vita quotidiana. E contemporaneamente ho voluto lasciare aperto il film e stimolare così domande nello spettatore.
I personaggi erano stati scritti per gli interpreti che hai scelto?
Si, soprattutto per Giovanna Mezzogiorno e Giorgio Albertazzi, che poi hanno accettato con entusiasmo e si sono rivelati sul set persone di grande disponibilità. Giorgio è spiritoso e aperto, più di altri. Mi ha stupito e sul set ne ho avuto anche timore. Il suo personaggio, lontano dal voler essere una critica ai professori e alla filosofia, è quello che mistifica e gioca proprio con questa incapacità oggettiva. Invece Giovanna è una donna idealista e razionale che cerca un punto di riferimento, ciò che uno sa e ciò che uno è non coincidono. Ma tutti i personaggi sono di fantasia: non ci sono persone reali cui ho fatto riferimento.
Una piccola produzione cui si è aggiunto un distributore attento come Attene. La lavorazione è stata travagliata?
Il film è costato pochissimo, solo due miliardi con la partecipazione diretta anche mia e di Marco Bonini: una cifra di solito impiegata per realizzare scene neanche troppo movimentate. Siamo riusciti a realizzare anche effetti speciali totalmente digitali come il treno e l’uomo di luce. La lavorazione è stata distribuita in alcune fasi, per rispettare tutti gli impegni degli attori ma senza rinunciare alla qualità. La scena del concerto è stata girata prima di uno spettacolo di Jovanotti nel dicembre 1999 al Palazzo dello Sport di Roma. Per preparare quella scena abbiamo impiegato dieci giorni.
I tuoi progetti futuri?
Un thriller paranormale, ma per ora è solo un’idea.
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