Erik Gandini: quella tv di tronisti e letterine


Videocracy non è partito come un film per l’Italia, ma tutte le persone intervistate nel documentario hanno firmato una dichiarazione di liberatoria per tutto il mondo. Non c’è nessun problema di questo genere con il fotografo Fabrizio Corona, ci siamo chiariti, è tutto risolto. Spero che venga al Lido, ci stiamo accordando”.

Eric Gandini, classe 1967, da tempo trasferito in Svezia, firma il documentario che racconta il mondo e i ‘mostri’ creati dalla tv commerciale, che ha modificato nel corso degli ultimi tre decenni i comportamenti di tanti italiani, creando consenso e immedesimazione con i modelli quotidianamente mostrati.
Ecco allora il press agent Lele Mora che nella sua ‘Casa Bianca’ sulla Costa Smeralda, circondato da tronisti, protagonisti del ‘Grande Fratello’ e altri aitanti giovani maschi, ascolta soddisfatto la suoneria del suo cellulare, l’inno fascista ‘Faccetta nera’, e azzarda confronti tra Benito Mussolini e l’attuale presidente del Consiglio. Ci sono i provini un po’ patetici di ragazze alla ricerca di un posto al sole in qualche programma Mediaset; le feste al Billionaire, il locale per vip di Flavio Briatore; il palestrato Ricky che da anni attende l’occasione della sua vita e infine l’ex fotografo e presto attore Fabrizio Corona che condensa la sua filosofia di vita in una fulminante battuta: “Sono una sorta di Robin Hood che ruba ai ricchi per dare non ai poveri, ma a me stesso”.

 

C’è molto altro in Videocracy che, costato due anni di lavoro, incrocia le immagini dell’ascesa di questa televisione con quelle della carriera politica del suo creatore, Silvio Berlusconi. Il film, evento congiunto della Settimana della critica e Giornate degli Autori e in sala con Fandango il 4 settembre, è da poco uscito in Svezia dove c’è molto interesse per le vicende politiche di casa nostra, e si vedrà presto sulle reti televisive finlandesi e danesi.

E’ stato difficile parlare con questi volti della tv commerciale?
No, assolutamente. Queste persone mi incuriosivano molto, rappresentano un mondo di cui non faccio parte e che è molto presente in Italia. Lele Mora ci ha aperto casa sua in Costa Smeralda. Insomma tutti quelli che volevo intervistare li ho raggiunti.

E il regista del ‘Grande Fratello’?
Fabio Calvi è un free lance che lavora sia con Rai che con Mediaset, abbiamo alcuni amici in comune. Anche lui è stato molto disponibile, anche perché in questo settore lavorano persone intelligenti e aperte.

E le immagini dei provini televisivi?
Tutti questi programmi hanno degli uffici stampa che si preoccupano di accogliere la stampa straniera e consentono perciò il lavoro di fotografi e di videoperatori, soprattutto a fine programma. Non è un mondo chiuso, vive anzi moltissimo dell’esposizione verso l’esterno.

Che cosa l’ha colpita di Ricky, il giovane dei provini di ‘X Factor’?
La sua sincerità, esprime come pochi il suo sogno di andare in televisione e lo fa in modo passionale. L’ho conosciuto, prima di ‘X Factor’, a un casting televisivo. Accompagnerà a Venezia il documentario.

E il divertente spot elettorale di Forza Italia?
Lo spot con le donne che cantano “Meno male che Silvio c’è”, ce l’hanno dato loro, come sempre con tanto di liberatoria.

Dove ha trovato la sequenza iniziale della preistoria della tv commerciale?
Risale al 1976, il programma s’intitolava ‘Spogliamoci insieme’, andava in onda da Torino. Per i materiali devo ringraziare Alessio Fava che sta preparando un documentario sugli inizi di questa tv e Pino Massi all’epoca conduttore del programma, che ebbe un successo locale inaspettato.

Ha sacrificato del materiale in fase di montaggio?
Tantissimo, di solito per i documentari c’è un rapporto tra montato e girato di 1 a 15, del resto il processo di scrittura è l’opposto di quello di un film di finzione: la sceneggiatura viene scritta durante il montaggio, mentre le riprese fanno parte della ricerca.

Lei considera “Videocracy” un documentario creativo.
Non faccio film su commissione, scelgo gli argomenti nei quali voglio entrare in prima persona, fare esperienza, partecipando da osservatore esterno e sono io raccogliere i fondi necessari. Nel mio lavoro non c’è nessuna idea di obiettività o neutralità.

Lei presenta come profondo l’intreccio tra l’immaginario di questa tv e la persona del suo inventore.
La premessa del mio lavoro è che l’Italia da 30 anni è avvolta in questa cultura che considero una sorta di esperimento televisivo. La figura di Silvio Berlusconi è inscindibile dalla tv commerciale italiana, le sue visioni di stile di vita vi sono rispecchiate, vi è una comunanza, insomma c’è il suo stampo.

Trent’anni non si cancellano con un colpo di spugna.
Spero che il mio metodo di osservare aiuti il cambiamento, perché sta a noi decidere il futuro della nostra tv e della cultura in generale. Io faccio film per raccontare qualcos’altro. Non è stato facile il ritratto di questo mondo perché ha un po’ il monopolio di se stesso, si racconta molto da solo. Non m’interessava parlare di Berlusconi riferendomi alle campagne d’inchiesta con tanto di retorica giornalistica, volevo raccontare la realtà in modo più emotivo.

Esiste la tv commerciale in Svezia?
Sì, è simile a quella italiana, ma le donne non appaiono così svestite come da noi, e non è così dominante come in Italia, l’80% degli svedesi legge ogni giorno i giornali. E poi c’è una televisione pubblica, diversa della Rai, senza pubblicità ma con il canone, con una programmazione prevalente di educational e documentari con l’obiettivo che faccia bene al Paese. In Svezia il connubio italiano tra tv e potere politico viene giudicato pericoloso.

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