Enzo Monteleone: angeli della casa e figlie in carriera


E’ soddisfatta Cristina Comencini dell’omonima versione cinematografica della sua commedia teatrale “Due partite”, un apologo sull’anima femminile da lei portato in scena con successo, e ora nei cinema dal 6 marzo in 200 copie con 01 Distribution. “A teatro avevo tirato fuori tutto quello che c’era nel testo, ora sentivo che toccava a un uomo scavare di nuovo traendone un film. Mi interessava vedere come un regista quale Monteleone scopre le donne e i loro sentimenti, come affronta l’universo femminile”, rivela la Comencini che per il suo testo teatrale su due generazioni, le mamme degli anni ’60 e le loro figlie, si è ispirata allo spirito ribelle della commedia “Ti ho sposato per allegria”, firmata da Natalia Ginzburg.

Due partite è un ritratto tragicomico, ricco di verità e ironia, sulla condizione della donna medio borghese, ieri e oggi, analizzata nell’arco di due pomeriggi. Uno è il tradizionale giovedì che Beatrice, Claudia, Gabriella e Sofia – rispettivamente Isabella Ferrari, Marina Massironi, Margherita Buy e Paola Cortellesi – mamme con prole, all’epoca del boom economico, trascorrono tra partite a carte, risate complici, battibecchi e confidenze sui loro matrimoni, i tradimenti subiti o compiuti e i loro sogni e rinunce. Trent’anni dopo in quello stesso salotto ritroviamo le loro figlie, senza prole questa volta, Cecilia, Rossana, Sara e Giulia – nell’ordine Valeria Milillo, Claudia Pandolfi, Carolina Crescentini e Alba Rohrwacher – più emancipate certo, ma meno disposte a sorridere, e comunque ancora una volta alle prese con la loro identità incerta e faticosa, tra lavoro voluto e maternità come parte di sé antica e primitiva, e tuttavia annullata. Perché come dice il personaggio di Sofia nel film “se diventiamo moderne, smettiamo di essere donne…”.

Due partite, che forse si candida a un Nastro o Donatello per l’intero cast, avrà una proiezione speciale, riservata alle giornaliste, l’8 marzo alla Casa del Cinema di Roma cui seguirà l’incontro con Monteleone e Cristina Comencini.

 

Monteleone, che cosa ha imparato delle donne girando “Due partite”?

Più che imparare, visto che nella mia vita ho conosciuto parecchie donne, ho ritrovato alcuni aspetti di mia madre. Si sa le mamme per noi uomini non invecchiano mai, hanno sempre avuto 40 anni, così ho rivisto nel personaggio di Sofia/Paola Cortellesi, mia madre negli anni ’60, con il suo filo di perle e il vestito a fiori.

 

Il film non è forse pessimista, in fondo le figlie sembrano passarsela male, sono più infelici delle loro madri?

Non direi pessimista, la vita propone continue sfide, con i suoi alti e bassi. Le donne certo piangono, si disperano ma subito dopo hanno la capacità di rimettersi in pista, a differenza dei maschi che diventano depressi e girano per casa in pigiama. Le donne invece non si lasciano andare, ricominciano subito a vivere, reagiscono con forza, intelligenza e con grande allegria. Hanno il pregio di affrontare il destino con un sorriso.

 

Madri e figlie fanno i conti con la maternità: le une con figli accettati ma spesso non voluti, le altre con figli mancati.

E evidente che le mamme degli anni ’60 dovevano ancora conquistarsi una serie di diritti e subivano le decisioni dei mariti, in nome del sacrificio e dell’unità della famiglia. Quello che è venuto dopo ha dato alle donne maggiore dignità e libertà di gestirsi la propria vita, ma sono subentrati altri problemi più di natura esistenziale, come affermarsi e conciliare la propria realizzazione lavorativa con la vita privata.

 

Non ha mai pensato di introdurre un personaggio maschile nel film?

La forza del testo sta proprio nel fatto che gli uomini, mariti o amanti che siano, sono spesso citati nelle conversazioni di queste otto donne ma non compaiono, sono più che mai presenti benché assenti. Se fossero entrati in scena, Due partite sarebbe diventato una commedia come tante altre, una sorta di Sex and the City.

 

Lei dice di essere rimasto fedele, all’ottanta per cento, al testo teatrale?

Sì, perché la forza dell’opera è il testo stesso, il dialogo ha un bel ritmo. Il cinema è ricco di esempi di film che attingono al teatro, rimanendo fedeli all’originale, vedi Vanya sulla 42esima strada, La parola ai giurati, o il più recente Il dubbio. Ho invece lavorato su quegli elementi cinematografici che hanno arricchito il testo, a cominciare dagli attori, i movimenti di macchina, il montaggio, la scenografia, per cogliere così gli sguardi, i gesti, le reazioni.

 

L’unica variazione, rispetto alla messa in scena teatrale, è stata quella di far interpretare il ruolo delle figlie ad altre attrici, con la sola eccezione di Valeria Milillo, che ha invece ceduto il ruolo della madre a Paola Cortellesi.

Ho preferito un doppio cast perché al cinema è necessario un realismo maggiore, si deve essere più credibili.

 

Non deve essere stato facile girare in unico ambiente?

E stata la difficoltà principale di questo film che ho superato dando il maggior ritmo possibile a una situazione statica. E allora movimenti di macchina, inquadrature strette e poi larghe. Per avere questa fluidità ho dovuto realizzare tanti ciak. E poi c’è stato un gran lavoro in montaggio, al punto da renderlo il meno percepibile e capace di cogliere quei gesti e movimenti che diventano funzionali ai sentimenti e alle battute del dialogo.

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