ENZO BALESTRIERI


L’anniversario dei 40 anni dalla tragedia del Vajont sarè ricordato il 9 ottobre prossimo con una giornata di celebrazioni che prevede anche la presenza di Carlo Azeglio Ciampi. Quel giorno sarà proiettato, a un passo dalla diga maledetta, “Quella notte…” Quella notte le stelle videro le montagne camminare, racconto collettivo realizzato da Enzo Balestrieri, regista di Clown in Kabul, 85 minuti in digitale frutto di un anno, ottobre 2002/giugno 2003, vissuto dal regista romano a Longarone nuova, a fianco dei testimoni sopravvissuti.
40 anni da una esondazione che costò la vita di 1917 persone e dalla scomparsa di intere abitazioni e pezzi di paesi: Longarone, Codissago, le frazioni Erto, Casso, Rivalta, Pirago, Faè, Villanova…
40 anni ripercorsi dalla reporter di guerra e giornalista milanese Lucia Vastano che, continuando con il suo libro-inchiesta il lavoro avviato da Tina Merlin, ha ispirato “Quella notte…” Quella notte le stelle videro le montagne camminare. La Vastano racconta il dopo Vajont e gli effetti diabolici della più grande “catastrofe innaturale” in tempo di pace del nostro Paese. Soprattutto la legge n.357/1964, la cosiddetta “Legge Vajont”, che rese possibile il “miracolo” economico del Triveneto, ovvero quel business di vendita delle licenze commerciali sottobanco raccontato dallo stesso documentario.

“Quella notte…” nasce per volere dei comuni di Erto e Casso. Come è nata la collaborazione fra lei e queste comunità?
Non è stata una mia idea ma ho incontrato la giornalista Vastano in Afghanistan mentre giravo Clown in Kabul; lei stava lavorando già al suo libro e mi propose di realizzare “Quella notte…”. Conoscevo la storia del Vajont come tanti altri, non in profondità.

Già altri autori hanno raccontato a teatro e al cinema la tragedia del Vajont: Marco Paolini e Gabriele Vacis, Renzo Martinelli…
“Quella notte” compie un percorso diverso, le mie non sono interviste. Il film è il resoconto dei pochi istanti precedenti alla caduta del monte Toc, dell’inondazione e delle conseguenze, così come raccontato dai testimoni di quei giorni. Al centro degli eventi c’è l’uomo, così ho dato voce alla gente, attraverso i loro ricordi. Nel mio Clown in Kabul la guerra non sono le bombe ma i bambini nell’ospedale di Kabul, così come il capitalismo ha il volto delle vittime del Vajont e non delle ville dei nostri governanti.

Lei definisce “Quella notte” un racconto zen.
Il racconto segue il ritmo delle stagioni, dall’autunno all’estate, e si trasforma in una riflessione sul significato del trascorrere del tempo. Un anno di vita che rappresenta i 40 anni passati dal 9 ottobre 1963. Come nel giardino di pietre giapponesi: conta la loro posizione.

Mauro Corona, scultore e scrittore di Erto da lei intervistato, ha scritto su “La Stampa” che le tragedie non insegnano nulla perché gli uomini hanno la memoria corta. Ha anche chiesto che la tragedia del Vajont venga restituita alla storia.
Gli italiani hanno la memoria cortissima, ma sono anche ciechi e sordi. I sopravvissuti al disastro del Vajont sono stati deportati, trasferiti da un paese a un altro, ma tutto ciò viene dimenticato. La tragedia del Vajont, più che essere riconsegnata alla storia deve tornare nei tribunali. Quel disastro dimostra come ancora una volta prevalga la dittatura del denaro e del profitto sull’uomo.

autore
06 Ottobre 2003

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