VENEZIA – “Mi incoraggia la mia terra, dove si suona. Mi ha incoraggiato il mio maestro, Ciro. Devo ringraziare i miei genitori, che pur essendo persone semplici hanno sempre rispettato i miei sogni e i miei desideri. Devo ringraziare la tammurriata, la scala napoletana, il dialetto e la possibilità di trascenderlo. E devo ringraziare il Juke Box, l’unica fonte di musica a cui potevo attingere da ragazzo, che mi ha fatto conoscere Afrika Bambaataa, James Brown e Jimi Hendrix“.
Così Enzo Avitabile si racconta al Lido, presentando il documentario a lui dedicato Enzo Avitabile Music Life di Jonathan Demme, che apre la 69ma edizione della Mostra. Il regista de Il silenzio degli Innocenti si è innamorato della musica di Avitabile dopo averne ascoltato un brano in radio, e ha fatto di tutto per conoscerlo. Un incontro speciale, quello tra la musica di dell’artista partenopeo, in continua evoluzione ma ancora molto legata alle sue radici, e il cinema apolide di Demme. Il trascendere i confini tra stati e culture è proprio uno dei temi dell’opera: “Cerco qualcosa in costante divenire – dichiara Aviitabile – per dirla con Carmelo Bene, il significante e non il significato. Demme è un genio, perché ha usato la musica e le immagini dove non arrivavo con le parole, dandomi anche possibilità di far conoscere un aspetto poco noto del mio lavoro. Più di 300 spartiti, per lo più inediti, che spaziano dall’opera alla musica da camera. Alla continua ricerca di un’identità espressiva, viaggiando tra i ritmi e i suoni di più popoli e più culture, alla ricerca del cuore dell’unica razza che esiste: quella umana”.
“Una cosa che mi ha molto colpito racconta Demme è stato sentir parlare Enzo e il musicista cubano Eliades Ochoa delle migrazioni. Gli artisti non ragionano in termini di confini e separazioni tra stati, riconoscono un’umanità che li lega tutti insieme”.
Con la cantante araba israeliana Amal Murkus – di fede cristiana – Avitabile si esibisce invece in un toccante omaggio a Vittorio Arrigoni, il reporter ucciso a Gaza dai terroristi jihadisti, ma non raccoglie provocazioni circa l’assenza, nel quadro multietnico delle sue collaborazioni artistiche messo in scena dal film, di musicisti ebrei.
“E’ un caso – afferma tranquillo – se avessi voluto chiamare tutti i miei amici non sarebbero bastate le tavole dei comandamenti. L’omaggio a Vittorio è spontaneo e sincero, non c’è politica in questa scelta. Anche se io la mia scelta politica la faccio e ne sono cosciente, qui nessuno è qualunquista”.
E poi c’è il ritorno a Marianella, il posto dove Avitabile è cresciuto, anche musicalmente, studiando dieci ore al giorno in uno studio/scantinato tutt’altro che confortevole. Non è il solito ritratto della Napoli folkloristica presentato da un regista straniero infiammato di suggestioni. Dice Jonathan Demme: “Cercavo luoghi che avessero una vera connessione con Enzo. Magari io non ci vedevo nulla di magico, ma per lui erano importanti”. E’ una Napoli semplice, onesta. Vicina a Scampia, ma non è Gomorra. Gli amici e i conoscenti che hanno condiviso la vita di Avitabile, nel film, sono il suo coro.
“Tornare in quello scantinato – dice l’artista – ha un doppio significato. Sotto il cemento ci sono le antiche verità. Marianella è un antico sito romano. I ragazzi non sono figli delle case popolari e basta, hanno una loro identità. E attraverso la mia vita volevo far capire loro che esistono i sogni e le possibilità”.
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