Evento speciale del 57° Festival di Cannes, la proiezione del documentario Lo sguardo di Michelangelo, presentato da Lottomatica ed Istituto Luce, sarà l’anteprima mondiale dell’opera del Maestro ferrarese dedicata al restauro del monumento funebre di Papa Giulio II che campeggia nella chiesa romana di S. Pietro in Vincoli.
Michelangelo Antonioni diventa testimonial d’eccezione di questa operazione ed il suo sguardo si incrocia magicamente con quello del profeta scolpito nel marmo da Michelangelo Buonarroti. Abbiamo chiesto ad Enrica Fico, moglie e collaboratrice del Maestro, le sue impressioni sulla realizzazione.
Cosa ti ha colpito del restauro? Ha accentuato la spiritualità del Mosé?
La spiritualità emergerà nel tipico stile antonioniano: lascerà la possibilità di riflettere sui grandi temi della vita, darà la possibilità di guardare il Mosè di San Pietro in Vincoli con lo stesso spirito di Buonarroti, in quei lunghi anni in cui ha realizzato la scultura ed è avvenuta la sua conversione alla religiosità. I 10 minuti di silenzio del documentario sono dieci minuti del 1500… E le riflessioni che fa Michelangelo si riflettono nello spettatore. Noi abbiamo avuto la fortuna di entrare subito nel vivo del restauro con Frommel, il più grande esperto michelangelesco, abbiamo avuto in prestito i suoi occhi esperti. Siamo rimasti colpiti immediatamente dalla vivacità della scultura, Michelangelo pareva volergli dire: “perché non parli”… Vedendo il Mosè si sente immediatamente che è stato testimone di tanti eventi; è una statua viva, con un’anima.
Com’ è avvenuta la realizzazione, ci sono state delle difficoltà?
Non è stato difficile, ma speciale. Michelangelo non si smentisce mai, e le riprese, bellissime e sorprendenti, sono state totalmente sue. Ha puntato soprattutto sulle correzioni di luce, sull’illuminazione. Michelangelo ha molta fiducia nel direttore della fotografia Maurizio Dell’Orco, ma aggiunge sempre del suo in tutto. D’altronde la questione della luce era fondamentale anche per Buonarroti; grazie al restauro è stata riaperta la finestra sovrastante la scultura, che era stata murata nel ‘700, da cui ora entra quel raggio di luce che nell’idea originaria di Michelangelo Buonarroti doveva rendere l’idea del raggio divino. Comunque abbiamo studiato appassionatamente e siamo diventati degli esperti michelangeleschi un po’ anche noi.
Nei film di Antonioni l’architettura e la scultura hanno avuto sempre un’importanza centrale, penso ad esempio a Gaudì in “Professione Reporter”.
In questo documentario avrà molta importanza la profondità di campo. Michelangelo odia i fuori fuoco, vuole dare la possibilità di vedere fino all’orizzonte. Ti dà il senso dello spazio, della natura, del cinema. E se questa volta ci sarà qualche sfocatura, sarà dovuta al fatto che lui è presente in scena come attore e come testimonial. Questa è stata la prima volta che ho visto Michelangelo sfuocato vicino ad un altro artista, ma in realtà anche il Mosè era un po’ sfuocato nelle riprese. Diciamo che è stato un incontro alla pari.
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