Un cinema polveroso d’altri tempi: l’Empire. L’insegna spenta, maestosa, affaccia sull’oceano in una qualche cittadina britannica. Una donna di mezza età entra e accende pian piano tutte le luci: la biglietteria, il bar, gli uffici, la sala. Hilary sta iniziando la sua monotona e ripetitiva giornata lavorativa, qualcosa di completamente diverso dalle avventure meravigliose che ogni giorno vengono raccontate da quel magico fascio di luce che parte dalla sala del proiezionista Norman. Sono gli anni ’80 e sullo schermo si alternano titoli come Momenti di Gloria e Toro Scatenato, ma Hilary non ha mai visto nessuno di quei film: “sono per i clienti” dice e poi lei preferisce leggere. Qualcosa, o meglio qualcuno, però arriva all’improvviso: è Stephen, il nuovo giovane dipendente del cinema. Ha la pelle scura, ma soprattutto è gentile, amorevole, seducente, e sta per stravolgere la vita di Hilary.
È questa la semplice premessa di Empire of Light, il nuovo film del regista premio Oscar Sam Mendes, presentato fuori concorso al 40mo Torino Film Festival. Dalle immagini del trailer, ci si aspettava di trovarsi di fronte a un nuovo, sempre gradito, omaggio al cinema che ha formato un regista di successo, soprattutto se si considera che questo è il primo film scritto interamente dall’autore britannico. Per quanto l’omaggio sia indubbiamente presente, Empire of Light non è in nessun modo sovrapponibile, ad esempio, al nuovo capolavoro di Steven Spielberg The Fabelmans. Per quanto il film sia indubbiamente legato a un momento storico biograficamente molto importante per Mendes, il cinema, la musica e l’arte che lo hanno formato come persona e regista fanno solo da sfondo a una storia fondata su personaggi che non hanno nulla a che vedere con lui: un’improbabile storia d’amore tra una donna di mezza età con un passato turbolento e un giovanissimo ragazzo di origini africane con tutta la vita davanti.
L’attrice premio Oscar Olivia Colman e il giovane astro nascente Micheal Ward sono gli interpreti al centro di questa narrazione. Il loro rapporto, seppure ricordi vagamente la dinamica malsana del capolavoro di Mendes, American Beauty, si connota di tutt’altri significati. L’infatuazione reciproca dei due colleghi è raccontata come genuina e sincera, nata dall’incontro di due anime sensibili. Poco importa quanto implausibili siano come coppia: la buona scrittura dei personaggi e delle dinamiche, e soprattutto la grande alchimia tra gli attori rende la loro relazione qualcosa di dolcissimo, per quanto tribolato.
A mettersi di traverso a questo amore, impossibile già di partenza, c’è il contesto sociale che li circonda. Sessismo, abilismo e razzismo sono all’ordine del giorno in quell’Inghilterra di 40 anni fa e l’unica ancora di salvezza per loro sarà quella di abbandonarsi ai piccoli piaceri della vita. Un’amicizia sincera, un buon libro, un film che ti fa piangere a dirotto. Elementi che evidentemente sono stati fondamentali per la crescita umana e artistica di Sam Mendes.
“Molte persone ritengono che i loro anni più formativi siano stati quelli dell’adolescenza. – dichiara il regista – Ho vissuto la mia adolescenza tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta: la musica, i film e la cultura pop di quel periodo hanno contribuito in larga parte a formare la persona che ero. Fu un periodo di grandi sollevazioni politiche in Regno Unito, con molte politiche razziali controverse che infiammavano gli animi, ma allo stesso tempo fu un periodo meraviglioso per la musica e per la cultura in generale: un periodo molto creativo, molto politicizzato e pieno di energia”.
Dopo un decennio dedicato ai grandi kolossal d’azione, con Empire of Light Mendes torna a scoprirsi, complici gli anni di pandemia, narratore fine e delicato, capace di costruire intense emozioni cinematografiche, sfruttando al meglio la forza dei caratteri e le sublimi prestazioni dei suoi interpreti.
L'opera prima di Luca Scivoletto, in sala dal 13 aprile, è un viaggio nella generazione cresciuta dopo la caduta del muro di Berlino. Un film per ragazzi infarcito di una sottile ed efficace satira politica. Fandango ha pubblicato il trailer ufficiale
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Il compositore e CEO del Gruppo Editoriale Bixio cura la colonna sonora del doc diretto da Tony Saccucci e prodotto da Verdiana Bixio per Publispei con Luce Cinecittà. Le musiche sono tutte state composte negli anni ‘70 guarda video
Il film scritto e diretto da Jamie Dack si aggiudica il premio per il Miglior film e per la Miglior sceneggiatura. Il miglior documentario internazionale è Riotsville, USA, mentre l'attrice Greta Santi vince una menzione per il ruolo in Pantafa