Elisabetta Sgarbi: “Il mio cinema anticinematografico”

L'autrice è in concorso al Torino FF con Colpa di comunismo, un film costruito sulla vita quotidiana di tre badanti romene


TORINO – “Colpa di comunismo”, detto così, in un italiano rudimentale ma tanto più efficace, è il titolo del nuovo lavoro di Elisabetta Sgarbi, in concorso al Torino ff. Una frase che, per quanto possa apparire strano, è stata pronunciata proprio così da uno dei personaggi di questo film insolito, che non è un documentario ma neppure un film di finzione. L’autrice segue le vicende quotidiane di due donne rumene, ex badanti rimaste senza lavoro dopo la morte degli anziani che accudivano: Ana (Ana Turbatu) ed Elena (Elena Goran), a cui si unisce la più giovane e meno ingenua Micaela (Micaela Istrate). Sono in Italia da alcuni anni, vivono al Nord. Cercano un lavoro – pulizie, cura di invalidi o rammendi, poco importa – fanno visite e telefonate, mettono in moto le amicizie o i legami con la comunità cristiano ortodossa di cui fanno parte, discutono sulle tariffe. Micaela, la più inquieta e polemica, forse sarebbe disposta anche a fare compagnia a qualche uomo solo per una serata. “Per ragioni personali, con mia madre malata e mio padre molto avanti negli anni, mi sono trovata a frequentare il mondo delle badanti e ho deciso di raccontarle. Molte domande mi agitavano, volevo sapere quanto fossero consapevoli della loro importanza nei confronti di persone sempre più anziane e fragili e quanto la loro motivazione fosse soprattutto legata al denaro e alla pura sopravvivenza. Sono partita da Fabriano dove c’è una comunità di romene a cui avevo attinto per i miei, finché in un negozio di cucito, mi sono imbattuta in Ana ed Elena e ho cominciato a interrogarle”. Elisabetta Sgarbi, che ha al suo attivo una lunga filmografia, ha cominciato a osservare queste donne semplici, persino dimesse. “Ho chiesto se potevo filmarle nella vita di tutti i giorni, poi le ho seguite quando, insieme all’amica Micaela, sono partite per Polesella. Lì il film si è allargato alla storia di una famiglia romena più integrata, una coppia con un figlio, e accanto a loro anche un amico pescatore, un veneto con idee razziste”.

Il film, dedicato proprio alla memoria della madre Rina, evidenzia in particolare i temi della trasformazione dei due paesi: l’Italia che dall’opulenza degli scorsi anni è ormai in piena crisi economica e anche meno appetibile per i lavoratori stranieri, la Romania dove l’emigrazione è ancora una necessità a causa dei salari bassissimi e dove qualcuno rimpiange il comunismo che quantomeno garantiva un posto fisso a tutti, anche se privava della libertà. Un quadro che sembra uscito dalla penna di uno scrittore se non di un sociologo, ma Sgarbi, che ha lavorato con Eugenio Lio alla sceneggiatura, mentre le musiche sono curate da Franco Battiato con molti inserti di musica popolare romena, smentisce: “Non c’è una sola battuta che sia messa in piedi, per quanto possa sembrare incredibile. La loro storia si dipanava come un gomitolo che si sfila davanti a noi e la grande Storia si riverbera su quella piccola. La conversazione che dà il titolo al film, quando padre e figlio commentano i discorsi della tv, è spontanea, così come l’amico razzista che confonde romeni e rom”. Il televisore sempre acceso è come una finestra sulla lontana Romania – dove spesso sono rimasti mariti e figli a cui spedire denaro – mentre tra loro i personaggi parlano italiano benché stentato. “Non usano la loro lingua se non in casi molto rari, hanno un certo orgoglio nel parlare l’italiano”.

Si sente a una “svolta fiction” della sua carriera, che ormai dagli anni 2000 si muove tra cinema ed editoria? “Se dovessi mettere ordine tra le cose che ho fatto, dividerei i film legati all’arte o dove viene evocato un testo letterario, dalle mie ultime cose che in parte nascono da una sollecitazione di Rai Cinema che mi ha chiesto di tornare nelle mie terre e di occuparmi dell’umanità che abita in quei luoghi, sul Delta del Po e nel Ferrarese. Ho affrontato questo nuovo approccio mostrando i personaggi che vivono la loro vita piuttosto che intervistarli. Nel caso di Colpa di comunismo si è composta una sceneggiatura a me ignota con momenti sorprendenti, come quando le tre donne, ormai diventate inaspettatamente amiche, fanno un girotondo sulle rive del Po”.

Un aspetto che le sta a cuore è il segno “fortemente anticinematografico” di questi personaggi. “Mi piace che siano impacciate e che non si rendano ben conto di essere in un film, che ora vedranno qui a Torino per la prima volta”. Niente domande sulla nascita della sua casa editrice La Nave di Teseo e sulle accuse espresse da Marina Berlusconi – la Mondadori ha da poco acquisito la Bompiani dove Sgarbi è stata a lungo direttore editoriale – in una lettera al Foglio. Anzi, la domanda di rito di un cronista della tv locale è stata duramente rispedita al mittente.    

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