Elisabetta Olmi: “Ho ritrovato una situazione vissuta con mio padre”

Elisabetta Olmi: “Ho ritrovato una situazione vissuta con mio padre”


Fratelli, anzi “gemelli”, ma solo fisionomici, perché in realtà fratellastri. Dario e Mario Cavalieri, ovvero Giuseppe Battiston e Stefano Fresi. Poli opposti nel carattere, nel vissuto, nella geografia quotidiana, uno a Roma, l’altro nella provincia veneta, che come spesso accade si fa fucina di sogni “impossibili”, e infatti Dario sogna/progetta addirittura la Luna. Mentre Mario nella vita “interpreta” il prototipo del “bamboccione”, dondolando tra la ferramenta di famiglia e la casa di mammina. Ma poi… boom! Il razzo destinato a condurre Dario sulla luna prende fuoco e Mario è l’unico parente prossimo che può scongiurare il TSO: dunque, pane e cotolette in valigia, e via verso il NordEst.

La sezione “Nuove Impronte” di ShorTS ha scelto Il grande passo – prossimamente al cinema distribuito da Tucker Film – per il debutto di questa edizione, con la proiezione sabato 4 luglio su MYmovies: la produttriceElisabetta Olmi – è anche giurata, con Linda Caridi e i fratelli D’Innocenzo

Elisabetta, perché Il grande passo e il cinema di Antonio Padovan sono perfettamente plasmati sull’essenza della sezione ‘Nuove Impronte’, che opera nel nome della ricerca e valorizzazione della cinematografia d’autore ed emergente?

I film che sono in concorso a ‘Nuove Impronte’ partono dalla realtà per poi andare a spaziare in altre cose, ognuno nei propri mondi: partono tutti da realtà ben precise per finire in strade ben differenti. E anche il nostro film è così, dunque coerente con la linea di quelli che sono stati selezionati per il soncorso, perché Il grande passo parte della ben precisa realtà che scorre lungo l’argine del Po: c’è il realismo dello scorrere della vita lungo il corso d’acqua, soprattutto lo scorrere della vita di Dario (Battiston), con lo stesso andamento, ma in lui sfocia nel desiderio di arrivare sulla Luna, quindi include anche la favola, appunto il grande passo di raggiungere il satellite. È anche la storia di una grande conquista, entusiasmante perché lui crede in quello che fa, senza mai mollare, contro tutto e contro tutti. Ringrazio Antonio Padovan e Marco Pettenello (co-sceneggiatore), che hanno scritto il film proprio per Battiston e Fresi: è un gesto di grande generosità scrivere un film per degli attori, che nel nostro caso hanno dato tanto al film, conoscendosi e affezionandosi sul set, infatti trovo si senta molto questa complicità tra loro. Antonio è anche regista, ma non ha sofferto la paura che la scena gli potesse essere rubata: il risultato è un bellissimo film.

Nella visione dei film in concorso, pensando a tutte e sette le opere, su cosa ha posto l’attenzione, da cosa è stata sedotta e, a prescindere, c’era qualcosa che non doveva mancare affinché un film fosse convincente e completo?

 I film – a mio gusto – non posso dire mi siano piaciuti tutti: alcuni molto di meno, alcuni molto di più. So che trovo poco consenso nel dirlo, ma ho sempre una certa difficoltà nel mettere insieme i film fiction con i film documentari: penso siano entrambi film, perché anche il doc ha una propria sceneggiatura, in cui l’autore riprende il più possibile quello che il mondo gli offre, però dopo ha un montaggio che lo fa scegliere per creare una storia, quindi anche lì c’è una sceneggiatura, eppure, tra l’attore che deve interpretare un ruolo, e la persona vera, io sento che l’empatia è differente, è più forte con quest’ultima, pertanto ancora mi devo convincere che queste due forme di linguaggio – fiction e doc – possano essere messe insieme. Dunque, quando guardo più progetti devo sempre analizzare profondamente, perché l’angoscia del dramma di una persona vera forse non si riesce a rintracciare davvero in un film di finzione, ma questo non fa venir meno la creazione di una storia. Ho trovato bellissimi film documentari, con molti pregi; mi sono piaciuti molto anche film stranieri, con molto sentimento. Alcuni forse hanno calcato troppo la mano, certe situazioni erano troppo volute, cosa che io non amo; altri hanno una semplicità molto più vera, sentita, con poche inquadrature ma molto giuste, più essenziali, che non trasbordano in qualcosa di troppo. 

E tra gli italiani – Tony Driver, Effetto Domino, Tutto L’oro Che C’è, Faith – ha percepito una tendenza, un passo comune, qualcosa che si possa ricondurre ai maestri del passato ma, al contempo, anche essere racconto di un cinema presente e prossimo?

Ho trovato una situazione che avevo già molto vissuto con mio padre Ermanno, con Lungo il fiume: l’ho risentito molto in Tutto l’oro che c’è. Poi, un film molto molto moderno è quello di Valentina Pedicini, veramente una bomba nel mare come è costruito: è molto internazionale. Tony Driver mi ha molto divertita, un personaggio bellissimo, c’è tutto lì dentro. E anche il film di Rossetto racconta una bella realtà, che esiste nel Triveneto: io la conosco bene, avendo vissuto sull’altopiano di Asiago, l’ho molto sentito. 

Rintraccia un valore aggiunto, o comunque delle peculiarità specifiche, nelle opere italiane?

Ho trovato tanto italiano, quanto internazionale, Faith della Pedicini. Come è costruito, come è girato, la scelta del bianco e nero che personalmente me l’ha reso internazionale: il bianco e nero mi ha permesso di allargare la situazione, invece che restringerla, seppur non le abbia parlato e non sappia perché l’ha scelto, ma la fotografia è molto bella, anche troppo per i miei gusti, forse perché molto costruita rispetto al racconto pulito che ha voluto fare; lo trovo con un messaggio, un punto di vista e una costruzione da film internazionale.  

Secondo lei, sezioni come ‘Nuove Impronte’, con un fuoco specifico su un certo cinema, sono realmente vivai per la vita di un film o l’affermazione autorale?

 Il fatto di partecipare, intanto, gratifica. Possono essere assolutamente buone vetrine, soprattutto se questi festival riescono a ottenere attenzione da parte della stampa: se l’attenzione dei giornalisti e dei media non è solo per i grandi festival – ma anche per questi, che sono veramente per loro faticosissimi, ma fanno cose miracolose – la comunicazione può davvero creare la necessaria attenzione; e poi offrono il luogo per guardare i film: il pubblico spesso vorrebbe vedere certi film, ma non sa dove come e quando. Può succedere se ne legga bene di un film, che venga voglia di andare a vederlo, ma poi non c’è da nessuna parte. Dev’essere innescato, come titola Rossetto, un effetto domino! 

Senza far trapelare il titolo vincente per la Giuria, come s’è articolato il dialogo con Linda Caridi e i fratelli D’Innocenzo, così da far convergere alla scelta finale?

Prima abbiamo fatto una scelta numerica: ci siamo sentiti e deciso che essendo 7 film li avremmo votati da 1 a 7, e abbiamo mandato contemporaneamente le singole scelte, perché nessuno influenzasse l’altro. Quindi, abbiamo tenuto i film con le valutazioni più alte, lavorando su quelli, e devo dire che da una prima scelta meccanica, abbiamo stravolto tutto, dialogando e confrontandoci, finché è uscita una scelta di cuore, di sentimento. Ci siamo scambiati opinioni e pareri, il confronto umano è fondamentale in queste scelte: ci siamo anche scontrati, ma devo dire che è stato un bel confronto umano e la scelta è venuta fuori dai sentimenti e non dai numeri. 

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