ELEONORA GIORGI


Risale al 1974, sul set di Appassionata di Gianlugi Calderone, l’incontro tra Eleonora Giorgi e Ornella Muti. Per lanciare il film il press agent Enrico Lucherini le convinse, “a inscenare una tremenda litigata, condita di spinte, schiaffi finti e risate trattenute, per la gioia di alcuni fotografi “discretamente” appostati nelle vicinanze.
A 28 anni di distanza dall’episodio la Giorgi, assente dal grande schermo dal 1988, ha voluto l’amica/rivale nel ruolo di protagonista di Uomini donne bambini (e cani), il suo film d’esordio alla regia con cui, confessa, “Mi piacerebbe andare a Locarno o al Sundance”.
Arrivata alla sesta e ultima settimana di riprese, la pellicola è prodotta dall’ex marito Massimo Ciavarro per Dharma Tre con i fondi dell’art.8. La regista mette in scena la storia di una famiglia nei rivoluzionari anni Sessanta, filtrata dallo sguardo di una bambina.
Ornella Muti è Anna, donna insofferente della quotidianità vissuta accanto a Giovanni (Paolo Giommarelli), marito nevrotico e maschilista.
Ad osservare con occhio vigile e sensibile la crisi tra i due è Nina (interpretata nella prima parte da Shasa Vitale e successivamente da Chiara Mastalli), la seconda dei loro 5 figli.

Perché ha deciso di passare dall’altra parte della cinepresa?
Scrivo da sempre, fin dai tempi di Borotalco, e amo raccontare storie. Il mio approccio alla regia è lo stesso dei calciatori che diventano allenatori, spesso con ottimi risultati. Ma forse all’inizio non mi rendevo conto della difficoltà dell’impresa.

Nel film non interpreta nessun ruolo. Perché?
Sarebbe stato presuntuoso. Certo, mi sarebbe piaciuto interpretare il ruolo di Anna, un personaggio a cui sono molto affezionata, e invidio un po’ Francesca (il vero nome di Ornella Muti ndr.). Ma lei, che è anche molto più in forma di me, è perfetta per questo ruolo: una donna giovane ma matura, candida ma forte e piena di speranza. L’ho capito mentre parlavamo del casting del mio film sul set di Lo zio d’America, la fiction diretta da Rossella Izzo che andrà presto in onda su RaiUno.

Il film si apre nel ’49 con le immagini del matrimonio di Anna e Giovanni e si chiude con un flash sul 2002. Ma il cuore sono gli anni Sessanta.
Si, la prima parte è ambientata 1962, la seconda nel 1969. E’ una scelta assolutamente autobiografica perché conosco molto bene quel periodo così come ho una grande esperienza del conflitto tra uomini e donne. I valori degli Sessanta e Settanta hanno segnato la mia gioventù e contano ancora molto. E’ stato il periodo dell’affrancamento delle donne, anche se tuttora viviamo molte contraddizioni. Per la prima volta capirono di poter essere non solo mogli e madri, ma anche qualcos’altro. Il mio non è un film politico, non parla esplicitamente né del femminismo né del ’68. E’ fatto di piccole cose quotidiane senza eventi eclatanti. L’atmosfera è molto raccolta.

Il conflitto di coppia è visto attraverso gli occhi di Nina. Perché?
Nina è la portatrice del nuovo che si contrappone alla madre, un’idealista che vive però tutti i condizionamenti subiti dalle donne negli anni Sessanta. Poi sono legatissima all’infanzia che rappresenta la fase più importante della vita.

autore
09 Ottobre 2002

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