ROMA – Nella vita grigia della giovane Eileen arriva un giorno una macchina rossa. Al suo interno c’è Rebecca, la donna che le cambierà la vita. Tratto da un romanzo di Ottessa Moshfegh, Eileen è il nuovo film di William Oldroyd, presentato alla Festa del Cinema di Roma 2023. Nei primi Anni ’60 a Boston, la protagonista interpretata da Thomasin McKenzie trascorre le sue giornate lavorando come assistente in un carcere minorile e prendendosi cura del padre, vedovo, reduce di guerra e, soprattutto, irrimediabilmente alcolizzato. Nessuno la vede, nessuno la ama. Rebecca (Anne Hathaway), la nuova psicologa assunta dal carcere, è tutto il suo opposto: luminosa, brillante, sembra tenere in pugno la propria vita. Una femme fatale che non può che entrare nella mente e nel cuore della giovane ragazza, repressa sotto ogni punto di vista, in primis quello sessuale.
“Il personaggio di Rebecca è un alieno, è completamente diversa da tutti gli altri personaggi. – dichiara Oldroyd – È laureata ad Harvard, una psicologa. Eileen vive a Boston, che nel romanzo si chiama Exville per rappresentare una qualsiasi città di provincia, in cui non c’è niente. Eileen è sola, non ha amicizie né amore, sua madre è morta, sua sorella è andata via e non ha modelli femminili. Vede questa donna progressista, intelligente, determinata: è come una boccata d’aria fresca e viene subita fagocitata. Rebecca diventa un’ossessione per Eileen, perché vuole essere come lei”.
L’incontro di questi due caratteri risulta subito detonante, soprattutto nella psicologia fragile di Eileen. Il punto di vista è sempre il suo e il regista ci mostra la sua immaginazione galoppante in cui tutte le sue pulsioni e paure si sfogano senza freni, prefigurando ciò che accadrà nella parte finale del film. In sospeso, tra la storia di formazione, il dramma sentimentale, il thriller psicologico, Eileen rivela anche una forte matrice noir, che esplode in un finale sapientemente anticipato durante tutto il corso del film.
“Volevo investigare il genere senza cadere in una sorta di pastiche. – continua il regista – Il libro è un vero e proprio noir: è una storia dark ma anche molto divertente. È ambientata nello stesso periodo di Hitchcock, ho visto molti film di quel periodo e ho preso in prestito tante cose, senza mai rubare. Sono consapevole dei generi ma non voglio esserne intrappolato. Quando passi alla sala montaggio è il film stesso a dirti quello che gli serve: il ritmo, la musica. Volevamo essere fedeli agli anni ’60, siamo stati molto attenti al design dell’epoca, abbiamo anche usato obiettivi, zoom e dispositivi che si usavano all’epoca. Anche i titoli sono un chiaro richiamo”.
Oltre al curato look anni ’60 di cui parla l’autore, l’elemento vincente della pellicola è certamente il cast di attori. In particolare, le due protagoniste sembrano essere uscite direttamente dall’immaginazione della scrittrice, che le ha prima create per la carta e poi adattate per il grande schermo. Thomasin McKenzie possiede esattamente quella “bellezza disastrata” e quella normalità dimessa che la rende invisibile agli occhi di tutti. Anne Hathaway è la dark lady per eccellenza. Una diva che si presta alla causa di un film indipendente dall’identità forte e che ama giocare con uno spettro di registri estremamente ampio. La sua Rebecca è un personaggio squisitamente ambiguo che sembra uscito da un’altra epoca. Al tempo stesso, rappresenta quella spinta liberatoria, che proprio negli anni ’60 cambierà per sempre la vita delle donne di tutto il mondo occidentale. Eileen, in tal senso, ne è l’ideale rappresentate: una donna che fugge dall’anonimato, dal grigiore e dalla violenza, per raggiungere lidi sconosciuti, scoprendo che a volte la solitudine coincide con l’indipendenza e, perché no, con la libertà.
La normalità di una famiglia composta da padre, madre e due figli, viene spezzata da una terribile scoperta: entrambi i genitori sono gravemente malati ma solo uno dei due può essere salvato.
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