Edmond Budina: operaio, regista quando è in ferie


Molti qui da noi lo conoscono come attore televisivo, per il ruolo di Petrit, il papà di Niko nella popolare soap opera Un posto al sole, ma Edmond Budina, nato a Tirana nel 1952, ha molte altre frecce al suo arco. Laureato all’Accademia delle Arti, ha lavorato per anni come interprete e regista al Teatro Nazionale, di cui è stato membro del Consiglio dirigente Artistico. Ha collaborato con molti giornali occupandosi di teatro, cinema e televisione, ha insegnato all’università di Tirana dove è stato scelto come rappresentante dei docenti per l’incontro con l’allora presidente Alia per chiedere il pluralismo politico. E’ arrivato in Italia nel 1992, con l’operazione C.O.R.A. (rimpatrio delle famiglie italo-albanesi), ha recitato perfino con Ken Loach, in Tickets, e poi nel 2003 ha realizzato il suo primo lungometraggio, Lettere al vento. Lo incontriamo alla presentazione del suo secondo film Ballkan Bazar, in uscita l’8 luglio, simpatica tragicommedia alla Kusturica che vede due donne italo-francesi (Catherine Wilkening e Veronica Gentili) ritrovarsi nel bel mezzo di un litigio tra greci e albanesi per il possesso delle salme di un cimitero di confine e che gode anche della sentita partecipazione del nostro Luca Lionello. Occasione in cui Budina, che nel suo paese è considerato un’istituzione, di quelle per cui rinomati ristoranti riaprono porte e cucine se necessario, ancora una volta ci stupisce per le doti di umiltà e poliedricità.
“Volete sapere cosa faccio davvero per vivere? – dice – Sono un operaio. Mi occupo di caldaie a gas presso una ditta di Bassano del Grappa, e lo farò ancora per molto. Per girare il film ho dovuto prendermi ferie e aspettativa, naturalmente non pagate. Per fortuna ce la siamo sbrigata in 4 settimane. Dopotutto, dove c’è un Presidente operaio, ci può essere anche un regista operaio, no?”

Cosa l’ha ispirata nella realizzazione di “Ballkan Bazar”?
Soprattutto fatti reali. Non mi sono inventato nulla. Sono partito dal racconto di una ragazza, al festival di Viareggio, che mi ha spiegato di come la bara di suo nonno dalla Francia si fosse dispersa in Russia. Abbiamo riso tantissimo e ho subito formulato l’immagine di questa bara sospesa tra le bandiere, che è uno dei leitmotiv del film. Ma il cimitero monumentale greco che si vede nella pellicola esiste davvero, è stato costruito nel 2006 e inaugurato nel 2007. Il problema è che ci sono le tombe, ma non ci sono le salme. Così i nazionalisti cercano di procurarsele trafugandole agli albanesi. E’ un problema di confine. C’è un detto che recita ‘dove cade un soldato, quella è la sua patria’. Così l’intento è di far credere che lì ci siano sepolti soldati caduti durante il conflitto italo-greco. Ma è intervenuta la scientifica, rilevando che molte di quelle spoglie appartenevano a donne e bambini, risalenti al 1800.

Ci parli dei rapporti tra greci e albanesi…
Abbiamo le stesse tradizioni, lo stesso modo di vivere. Ma nazionalismi e conflitti portano il male. Io però non volevo gettare benzina sul fuoco, né prendere posizione. Volevo fare un film divertente, ironico. Ci sono tanti albanesi che lavorano in Grecia ma per farlo devono essere ribattezzati con nomi greci. E pensate che molti albanesi ricevono pensioni greche senza aver lavorato in Grecia un solo giorno, arrivano a prendere fino a 320 euro al mese solo per essersi dichiarati greci, con la crisi che c’è da quelle parti. Lo fanno perfino i miei parenti, ma io in questo caso mi schiero dall’altra parte.

Nel film interpreta anche un ruolo chiave, quello di un prete ortodosso molto poco ortodosso…
A capo della chiesa ortodossa oggi c’è un Pope greco che vorrebbe censire la popolazione in base alla nazionalità e alla religione. E’ scoppiata perfino una polemica, in merito al mio film: la chiesa ha mandato una lettera accusatoria, anche nei confronti dell’Ambasciata italiana. Ma credo che le istituzioni religiose non dovrebbero mettere bocca nelle scelte artistiche di un regista.

E la reazione del pubblico com’è stata?
Meravigliosa. Hanno riempito i cinema. Non so darvi numeri ma so che in Albania, fatte le dovute proporzioni, perché parliamo di 7/8 sale in tutto, il film ha incassato tantissimo, più di Avatar.

Doppierete il film per il mercato italiano?
Dobbiamo farlo necessariamente per ottenere la nazionalità. E’ compito del distributore Mediaplex. Ma cercheremo di mandarlo in giro il più possibile anche nella versione originale, perché la lingua è fondamentale, essendo pieno di situazioni che si sviluppano proprio in virtù della mescolanza di linguaggio. Ballkan Bazar è anche il ballo delle lingue.

Quali sono le influenze cinematografiche di un regista albanese?
Ai tempi del comunismo non era molto facile comunicare con l’esterno. Ad esempio Dario Fo, che pure era comunista, non passava da noi perché non si poteva controllare, non si poteva prevedere se avrebbe cambiato idea e cosa sarebbe diventato. I primi film che sono riuscito a vedere, e che mi hanno ispirato, erano titoli come La battaglia di Algeri di Pontecorvo o Le mani sulla città di Rosi. E poi, Fellini è sempre Fellini.

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22 Giugno 2011

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