Claude Lanzmann è morto a Parigi all’età di 92 anni. Il cineasta e intellettuale è celebre soprattutto per il suo capolavoro Shoah, documentario della durata monstre (poco meno di dieci ore) sull’Olocausto attraverso le testimonianze dei sopravvissuti, uscito nel 1985. Un’opera che aveva richiesto 11 anni di lavoro. Oltre che cineasta è stato giornalista, filosofo, direttore di ‘Temps Modernes’, amico di Jean-Paul Sartre e di Simone de Beauvoir, con cui ebbe una relazione dal 1953 al ’59.
Nato il 27 novembre 1925 a Bois-Colombes, è stato uno degli organizzatori della Resistenza al liceo Blaise Pascal di Clermont-Ferrand nel 1943. Partecipò alla lotta clandestina in città, poi alle azioni dei partigiani alla macchia dell’Alvernia. Gli fu assegnata una medaglia della Resistenza, fu nominato cavaliere della Legion d’onore e commendatore dell’Ordine nazionale del Merito.
Firmatario del Manifesto dei 121, che denunciava la repressione in Algeria; in seguito diresse un numero speciale di ‘Temps Modernes’ di più di mille pagine interamente dedicato al conflitto arabo-israeliano, nel quale, per la prima volta, arabi ed israeliani esponevano insieme le loro ragioni, e che resta tuttora un’opera di riferimento.
Dal 1970 si dedicò al cinema con Pourquoi Israël, destinato in parte a rispondere ai suoi antichi compagni di lotta anticolonialista che si rifiutavano di comprendere come si potesse, pur volendo l’indipendenza dell’Algeria, volere anche la sopravvivenza di Israele. La premiere ebbe luogo al Festival di New York il 7 ottobre 1973, solo qualche ora dopo lo scoppio della guerra del Kippur.
Nell’estate del ’74 iniziò a lavorare al progetto Shoah che lo occupò per undici anni. Il risultato è un film-fiume della durata di nove ore e mezza. Sin dalla sua uscita nelle sale, nel 1985, Shoah viene considerato un’opera fondamentale, sia dal punto di vista storico che cinematografico. Il film ha avuto ripercussioni che non accennano a decrescere: è stato oggetto di migliaia di recensioni, studi, libri e seminari nelle università di tutto il mondo. La pellicola ha ottenuto le più alte onorificenze ed è stata premiata a numerosi festival, è stata oggetto degli attacchi dei negazionisti. Dopo Pourquoi Israël e Shoah, con Tsahal ha concluso una trilogia su questi temi.
Nel 1988 Lanzmann ha partecipato al film documentario di Marcel Ophüls Hôtel Terminus. Nel 2009 per Gallimard esce un libro di memorie, Le lièvre de Patagonie, tradotto in italiano da Elena Sacchini e Francesco Peri per Rizzoli Libri con il titolo La lepre della Patagonia.
E’ del 2013 il documentario L’ultimo degli ingiusti che recupera una lunga intervista filmata del 1975 al rabbino di Vienna Benjamin Murmelstein e tratteggia la figura dell’unico fra i decani dei ghetti d’Europa ad essere sopravvissuto alla Shoah. Il titolo provocatorio attinge alla descrizione che Murmelstein fece di se stesso: prima dirigente e poi presidente degli anziani, si trovò ad operare nel campo di concentramento di Theresienstadt – dove morirono di stenti 33.000 ebrei e altri 88.000 furono deportati in altri lager – spacciato dalla propaganda nazista come città modello per gli ebrei, negli anni dal 1943 al 1945. Processato per collaborazionismo dopo la guerra dai cecoslovacchi e assolto, si stabilì a Roma. Nella capitale italiana Murmelstein incontrò l’ostilità della comunità ebraica locale. Lanzmann riabilita il personaggio, che emerge come un acuto, intelligente e smaliziato cronista della politica persecutoria nazista: Murmelstein collaborò coi nazisti, non potendosi rifiutare, ma cercò di rallentare la macchina dello sterminio, con una particolare abilità nel temporeggiare. La sceneggiatura integrale del documentario è stata pubblicata in Italia dall’Editore Skira. Suoi ultimi lavori sono Napalm (2017) e Le quatre soeurs (2018). Nel 2013 aveva ricevuto l’Orso d’oro alla carriera al Festival di Berlino.
Leggi l’articolo di Cinecittà News su L’ultimo degli ingiusti
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