“Mi avevano colpito del romanzo di Agota Kristof il personaggio di Tobias e la sua condizione di esule dell’Est. Questo tema delle proprie radici, di ritrovarsi in una terra straniera è un sentimento con cui sono cresciuta. Ricordo che mio padre, di origine bulgara, quando venne negli anni ’60 in Italia perse la cittadinanza e, nonostante fosse sposato con un’italiana, trascorse un lungo periodo senza lavoro perché non aveva la cittadinanza e viceversa”.
Dopo Le acrobate e Pane e tulipani la sceneggiatrice Doriana Leondeff è di nuovo accanto a Silvio Soldini per Brucio nel vento, misurandosi per la prima volta con un testo letterario.
Un’esperienza impegnativa?
La sensazione è di lavorare meno, anche se poi ti confronti continuamente con il mondo dell’autore del romanzo. C’è un lavoro d’intepretazione, sei di fronte a personaggi compiuti di cui devi appropriarti. Con Silvio ero sempre partita da zero, i personaggi crescevano di giorno in giorno, senza sapere dove ci avrebbero portato.
Come ha scoperto il romanzo “Ieri”?
Il libro era appena uscito in Italia, ma già avevo letto la trilogia della Kristof. Ero rimasta molto impressionata dalla sua scrittura e dallo stile “originale”. Ho pensato che questo romanzo breve era nelle corde di Silvio. Del resto dopo Le acrobate sia Silvio che io avevamo il desiderio di lavorare su un testo letterario. Silvio non aveva trovato nulla che lo stimolasse sufficientemente, ma con Ieri gli è scattata una scintilla e abbiamo fatto un’opzione sui diritti. Poi, misurandoci con il progetto, ci siamo resi conto delle difficoltà produttive. Silvio ha da subito pensato di girarlo con attori dell’Est, nei luoghi del romanzo, la Svizzera francese.
Come avete affrontato la scrittura della Kristof?
Il suo è uno stile secco, senza aggettivi, difficile da rendere sullo schermo, ma abbiamo affrontato l’impresa senza pensarci troppo, con disinvoltura, altrimenti si correva il rischio di lasciarsi inibire dal testo. Il libro era una cosa e il film un’altra. La fatica era quella di restituire lo stesso sentimento del romanzo.
E i dialoghi?
Abbiamo mantenuto il loro carattere letterario, ci stava a cuore conservarli, evitando dialoghi naturalistici e più colloquiali. Piuttosto che adattarli, abbiamo preferito fare dei tagli, conservandoli spesso alla lettera. Sullo schermo reggevano solo se accorciati.
E i tagli fatti?
Rispetto alla prima parte del romanzo, quella dedicata agli immigrati Janek, Vera, Pavel, prima dell’incontro con Line. La seconda parte invece c’è tutta intera con l’evoluzione del rapporto di Tobias e Line.
Una Line diversa dall’originale?
Rispetto alle scelte di vita di Line, Silvio, io e l’interprete Barbara Lukesova ci siamo resi conto che il personaggio assumeva uno spessore e una forza maggiori che la portano a vivere questo amore, ribaltando la conclusione del romanzo. Del resto fin dall’inizio abbiamo pensato a un finale diverso perché Tobias aveva già vissuto un lungo calvario.
Un finale che non piacerà ai lettori entusiasti della Kristof.
Siamo pronti a ricevere critiche. C’era in fondo non solo un’attrazione narrativa ma anche visiva per una fine differente: l’idea, dopo aver attraversato atmosfere grigie, livide e invernali, di ritrovarsi su quel treno in galleria, con quegli scorci di mare e di cielo.
Anche se il film è liberamente tratto, la scrittrice come ha reagito?
Dopo l’acquisto dei diritti del romanzo, abbiamo conosciuto la Kristov a Roma, quando venne a ritirare il Premio Moravia per Ieri. Sembrava distaccata, ma contenta che fosse Soldini il regista del suo romanzo, perché conosceva la sua cinematografia. Ci ha lasciati liberi nel nostro lavoro di sceneggiatura, ma quando ha letto il nostro finale ha reagito duramente e la capisco perché il romanzo in fondo ha un sapore quasi autobiografico. Però una volta visto il film le è piaciuto, così come ha trovato l’attore Ivan Franek molto simile a Tobias.
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