Voglio usare “il linguaggio del cinema per raccontare la vita reale senza imbrogliare o manipolare. Devo arrivare all’essenza delle persone, come se ne facessi un ritratto. Sento come un dovere cercare di mostrare l’essenza della verità, che è nel punto di vista. Sceglierlo è un atto morale ed etico”. Lo spiega all’Ansa nell’incontro online organizzato da The Wrap Gianfranco Rosi, che rappresenta l’Italia nella corsa all’Oscar con Notturno (nel 2017 il cineasta era entrato in cinquina con Fuocoammare) sia nella categoria miglior film straniero che in quella del documentario.
Per entrambe la categorie le shortlist di 15 titoli ognuna verranno annunciate il 9 febbraio, mentre il 15 marzo verranno rivelate le nomination. Il film non fiction, che ha debuttato alla Mostra di Venezia, nasce da tre anni passati dal regista sui confini fra Iraq, Kurdistan, Siria e Libano, insieme a non più di due collaboratori, diversi per ogni Paese. Un viaggio che attraverso incontri e quotidianità, parla delle conseguenze sulle persone di guerre civili, dittature, invasioni, ingerenze straniere, vittime, fino all’ISIS.
L’idea è nata per mentre realizzava Fuocoammare (Orso d’oro a Berlino), per il quale, spiega aveva incontrato “persone che scappavano da zone di guerra e arrivavano sull’isola piene di speranza. Ho sempre pensato che al film mancasse un maggiore avvicinamento a quelle storie”. Così, aggiunge, “è stato un passaggio naturale per me andare a vedere, confrontandomi con un territorio sterminato, parti di memoria, diverse culture e lingue”, spiega il cineasta. E’ stato “un viaggio di enorme impatto che mi ha richiesto tre anni per riuscire a tirarne fuori un film, diventato una sorta di luogo della mente”. Ci accompagnano, in aree stravolte dalla guerra, i canti luttuosi delle madri, i racconti dei bambini yazidi sopravvissuti ai massacri dell’Isis, la recita di un gruppo di pazienti di un ospedale psichiatrico. Un percorso immersivo, insieme, fra gli altri, a un cantore di strada, un cacciatore di frodo o le guerrigliere peshmerga, fino alle immagini dei terroristi dello Stato Islamico ammassati in un carcere.
A guidare il regista, la volontà costante di “trovare storie che fossero universali anche se raccontate con elementi molto intimi, mentre l’eco della guerra con le sue conseguenze è sempre presente”. Rosi è consapevole che Notturno “riflette un senso di spaesamento, anche perché non si indica mai in che Paese ci si trovi, ma alla fine penso si arrivi a molte più risposte di quante se ne sarebbero avute in un documentario pieno di persone che guardando in camera rispondono a delle domande, una strada che non percorro mai”.
In “tutti i miei film, la più grande risorsa che ho è il tempo, per questo all’inizio devo lavorare da solo. Nei luoghi in cui arrivo passo mesi a costruire un rapporto di fiducia con le persone”. Durante le riprese non sono mancati i momenti critici: “A volte sono dovevo andare via in fretta da un posto, perché c’era ancora l’Isis, e si era percepita la mia presenza. Ho rischiato anche di essere rapito”. Tra le parti di racconto più intense quella dei bambini yazidi: “Non sapevo come filmarli, poi ho saputo della terapia del disegno che seguivano per aiutarli ad affrontare le immagini terribili a cui avevano assistito. Avrei potuto fare tutto il film in quella stanza. Ho compreso che era un dovere far arrivare quelle storie al mondo”.
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