Donne, storia e grandi ritorni: ecco la Mostra 76

Tanti film su condizione femminile anche raccontata da uomini ma con una sensibilità diversa e rinnovata, tante storie che pescano nel passato antico e recente, rivisitandolo in maniera documentata e


Tanti film sulla condizione femminile più che altro raccontata da uomini (solo due le donne in concorso) ma con una sensibilità diversa e rinnovata, tante storie che pescano nel passato antico e recente, rivisitandolo in maniera documentata e serissima, anche in versione cinema del reale: la 76esima Mostra di Venezia (28 agosto-7 settembre) si preannuncia interessante, coinvolgente e “sorprendente”. Questo l’aggettivo più usato dal direttore Alberto Barbera – affiancato dal presidente della Biennale Paolo Baratta – nel presentare il programma  di fronte a una platea più che mai affollata al The Space Moderno di Roma.

21 film in concorso, tra cui i tre italiani Pietro Marcello, Franco Maresco e Mario Martone; 17 Fuori concorso (compresi 10 documentari), 19 in Orizzonti, 4 in Sconfini, 3 in Biennale College, due serie tv di lusso come evento speciale: Zerozerozero di Stefano Sollima (episodi 1 e 2) e The New Pope di Sorrentino (episodi 2 e 7).

C’è naturalmente molta Italia con 118 lungometraggi ma anche molto cinema americano, però nessun continente la fa da padrone assoluto. Per l’Italia la scelta, come spiega Barbera, è di due titoli “di qualità ma destinati al grande pubblico, come Vivere di Francesca Archibugi e Tutto il mio folle amore di Gabriele Salvatores, mentre in concorso troviamo sfide più alte e radicali. Il Martin Eden di Pietro Marcello è il suo più ambizioso fino a oggi; Martone non si accontenta di riprendere lo spettacolo che aveva portato a teatro ma fa cinema al 100%; Maresco prosegue la sua ricerca antropologica sulla società siciliana e si spinge ancora più in là con il consueto cinismo”. 

Barbera nega che vi sia concorrenza tra Cannes e Venezia. “Quando un film è pronto, esce. Sono i film che scelgono i festival e non viceversa”, spiega. Ma sottolinea con orgoglio che dieci premi Oscar (di cui sei cineasti) saranno ospiti della Mostra, mentre 11 registi partecipano per la prima volta al concorso, tra cui Steven Soderbergh e Todd Phillips. Tre sono i film Netflix, uno è targato Amazon. Tra gli assenti illustri spicca Martin Scorsese, ma il suo The Irishman debutterà a fine novembre, perché il lavoro sugli effetti speciali per ringiovanire Robert De Niro è molto complicato e lungo. 

Tra i titoli più attesi del concorso, che sarà aperto com’è noto da La verité di Kore-Eda Hirokazu, opera internazionale con Catherine Deneuve e Juliette Binoche, c’è il J’accuse (L’ufficiale e la spia) di Roman Polanski, kolossal da 26 milioni di euro che conta anche sulla coproduzione dell’italiano Luca Barbareschi e di Rai Cinema, ricostruzione accurata con documenti dell’epoca e basata anche sul romanzo di Richard Harris sull’affare Dreyfus con un Jean Dujardin di “bravura raggelante”. Per Barbera Polanski “è uno degli ultimi grandi maestri del cinema europeo, ha più di 80 anni, ma è vitalissimo, in questo film mette ovviamente qualcosa di se stesso, raccontando una storia agghiacciante. Un film irrinunciabile”.

La saudita Haifaa Al-Mansour – una delle due donne in gara – torna in patria, come nell’opera prima La bicicletta verde, con The Perfect Candidate, storia di una donna che corre per la carica di sindaco tra mille difficoltà. Il Leone d’oro svedese Roy Andersson porta About Endlessness, sulla perpetuità della malinconia, ma raccontato con la consueta fredda ironia. Il grande francese Olivier Assayas con Wasp Network con Penelope Cruz e Gael Garcia Bernal parla di agenti del governo castrista infiltrati tra gli espatriati americani che progettano attentati a Cuba. Noah Baumbach racconta un matrimonio d’amore che diventa un incubo quando i due si separano in Marriage Story. Il canadese Atom Egoyan, dopo un “parentesi hollywodiana non felice” riprende i suoi temi etici e lo scandaglio dell’animo umano in Guest of Honor. L’americano James Gray debutta in una grande produzione con il fantascientifico Ad astra in cui Brad Pitt è un astronauta in missione ai confini dell’universo (nel cast anche Tommy Lee Jones, Liv Tyler, Donald Sutherland). A Herdade di Tiago Guedes, prodotto da Paulo Branco, è una sorta di Novecento bertolucciano ma in salsa portoghese. In Gloria mundi di Robert Guédiguian ci sono i soliti elementi e i soliti fedeli attori del cineasta marsigliese ma con maggiore amarezza e una visione senza speranza della società francese contemporanea.

E’ produttivamente italiano Waiting for the Barbarians del colombiano Ciro Guerra, coprodotto da Andrea Jervolino e con il montaggio di Jacopo Quadri, ispirato al romanzo di J. M. Coetzee, racconto allegorico in cui un magistrato che governa la regione di frontiera dell’impero, deve vedersela con l’arrivo di un comandante di polizia deciso a sfidare i barbari a tutti i costi. Ema del talento cileno Pablo Larrain è di nuovo una storia al femminile, dopo Jackie, con protagonista una donna incendiaria incarnata da una giovane attrice rivelazione, Mariana Di Girolamo che recita accanto a Gael Garcia Bernal. Il cinese Lou Ye è per la prima volta a Venezia con Saturday Fiction interpretato da Gong Li, un mélo in bianco e nero ambientato a Shanghai nel ’41 tra spie, passioni e doppio gioco. 

The Painted Bird del ceco Vaclav Marhoul è un film autoprodotto con un cast incredibile (Harvey Keitel e Julian Sands accanto ad attori dell’est) su un ragazzino ebreo mandato in campagna dai genitori per cercare di salvarlo dal nazismo. Babyteeth di Shannon Murphy è un’opera prima australiana sul tema della malattia ma raccontata anche con ironia. L’atteso Joker di Todd Phillips, con Joaquin Phoenix e Robert De Niro, è in un certo senso il prequel di Dark Knight. Steven Soderbergh racconta i Panama Papers in modo divertente in The Laundromat. Infine No 7 Cherry Lane è un film d’animazione che conferma il talento del taiwanese Yonfan.  

Leone alla carriera a Pedro Almodovar (“ma non è una compensazione per la Palma d’oro mancata”); locandina e nuova sigla di Lorenzo Mattotti, 300 polaroid giganti in mostra al De Bains; Virtual Reality sempre più forte con due sezioni, una competitiva e l’altra illustrativa. Evento speciale con Tsai Ming liang sempre più radicale ora impegnato anche in una performance live. 

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25 Luglio 2019

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