“Non l’amore, non i soldi, non la fede, non la fama, non la giustizia, datemi la verità!”, recita uno degli aforismi più noti del filosofo statunitense Henry David Thoreau, ripreso anche in Into the Wild – Nelle terre selvagge. Una frase che riassume bene il debutto in lingua inglese dell’enfant prodige canadese Xavier Dolan, La mia vita con John F. Donovan, presentato al Festival di Toronto e nelle sale italiane dal 27 giugno con Lucky Red. Un film che racconta il lato intimo della celebrità, la verità, a volte sfuggente, che si cela dietro la maschera del personaggio. Cosa è lecito sapere della vera anima di un artista, ci si domanda dopo la visione del film, cosa dovrebbe essere lui stesso a rivelarci del suo essere per non vendere la sua anima e rinunciare alla propria identità in nome del successo? Cosa si sacrifica, ancora oggi, sull’altare della paura pur di ottenere fama e consenso popolare?
Protagonisti della pellicola due attori, Rupert Turner, un ragazzino americano che si trasferisce in Inghilterra dove deve affrontare le prime sfide dell’adolescenza, e il suo idolo, la star televisiva John F. Donovan, prematuramente scomparsa, sulla cui morte aleggia il mistero e il dubbio del suicidio. Negli anni i due diventano confidenti, grazie ad una lunga corrispondenza epistolare segreta in cui la star apre le porte del suo cuore a un ragazzino che non ha mai incontrato. Tra loro si instaura un rapporto amichevole e profondo, ma la situazione si complica quando l’opinione pubblica viene a scoprire che Donovan è attratto dagli uomini, anche se sposato con un’amica d’infanzia. Il castello di menzogne su cui ha costruito la sua immagine pubblica vacilla, le loro lettere vengono scoperte, e il loro rapporto, in realtà gentile e del tutto innocente, viene risucchiato in uno scandalo. Crescendo Rupert stesso intraprende con successo la carriera di attore e decide di raccontare in un libro la vera storia di Donovan. Ne ripercorre la vita e la carriera, svelando i turbamenti di un segreto celato a tutti, dall’ascesa al declino, causato da uno scandalo mai dimostrato.
Un film con un cast straordinario di interpreti che va dalla star de Il trono di spade Kit Harington, a Jacob Tremblay e i premi Oscar Kathy Bates, Susan Sarandon e Natalie Portman, nei panni della madre di Rupert, aspirante attrice delusa dalla vita che ha una relazione amorevole ma conflittuale con il figlio, che crescendo si sta allontanando sempre di più da lei. E non sarebbe un film di Dolan se non ci fosse almeno un confronto madre-figlio che sfocia nelle urla; i temi dell’omosessualità e della solitudine che lo hanno reso famoso nel mondo; quella figura paterna del tutto assente che aleggia come un’ombra sulle crisi esistenzialisti dei protagonisti. Elementi costanti della sua cinematografia che, se non del tutto autobiografici, sono certamente fortemente ispirati al vissuto di Dolan, che per la stessa idea del film pare essersi ispirato a una vecchia lettera che da bambino aveva scritto al suo attore preferito, Leonardo di Caprio: “Ciao Leonardo, Il mio nome è Xavier Dolan-Tadros, vado a scuola, amo la scuola. Ho otto anni. Il 20 marzo compirò nove anni. Sono uno dei tuoi fan…”
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