Dal 15 novembre al 20 dicembre si tiene la rassegna ‘A tutto schermo’ promossa da ‘La rete degli spettatori’, che coinvolge i cinema di Roma, Milano, Torino, Brescia, Padova, Modena, Pisa, Tivoli e La Spezia con una selezione, in questo caso esclusivamente documentaristica, operata dai registi Fabrizio Grosoli e Valerio Jalongo, dal produttore Lorenzo Dionisi e dai giornalisti Emanuele Rauco e Paola Casella.
Jalongo, in conferenza, spiega il tema dell’iniziativa: “Il clima è dominato da piattaforme potenti e algoritmi performanti ma noi vogliamo rafforzare un circuito di sale e persone di buona volontà che vogliono mantenere un lavoro sulla qualità al di là delle sponsorizzazioni di grandi o piccoli distributori. La pandemia non ha fatto bene alle sale: quando erano chiude potevano contare sulle sovvenzioni, oggi si trovano vessate dalle distribuzioni forti e sempre meno libere di programmare. Il senso del nostro lavoro è dare visibilità e difendere il concetto di qualità. In un momento come questo credo che il documentario italiano abbia dimostrato forza, vitalità e originalità, che abbiamo premiato nelle ultime due selezioni, quasi esclusivamente di documentari”.
Dei film parla Rauco “Abbiamo dato l’esclusiva ai documentari, perché ci siamo resi conto che il doc proprio per la sua presa sul reale e per il genere e la modalità produttiva è più capace di adattarsi alle difficoltà, e per questo ha dato frutti particolarmente ricchi. Quest’anno abbiamo avuto il sentore che era necessario aprire le nostre frontiere. Siamo alla decima edizione quest’anno, abbiamo sempre selezionato film poco visti o poco distribuiti, per dargli la possibilità di essere visti dagli spettatori. Ci siamo concentrati sul documentario per questioni artistiche, politiche e culturali. La pandemia come evento non conosce confini, è uno stagno culturale. I film non raccontano solo storie culturali ma si concentrano sul dettaglio anche per aprire finestre sul mondo”.
Nello specifico, queste le pellicole, con una breve descrizione:
Io resto di Michele Aiello racconta come una piccola squadra di telecamere sia entrata nelle corsie dell’ospedale civile di Brescia nel picco della pandemia. Gelsomina Verde di Massimiliano Pacifico racconta la storia di una giovane donna vittima della Camorra, un lavoro sull’importanza del cinema come laboratorio per costruire memoria. Man Kind Man di Iacopo Patierno racconta l’intimità del mare attraverso quatto storie. Chiude L’occhio di vetro di Duccio Chiarini, storia di memoria del periodo fascista a partire dal diario di un parente del regista.
Poi ci sono gli stranieri. Citizen Nobel di Stéphane Goël, su un premio nobel che nel 2017 ha vinto il premio per la Chimica e ha visto cambiare la sua vita, usando il premio per rendere la richiesta di dibattiti e conferenze un modo per stimolare il pubblico che lo ascoltava verso i temi del cambiamento climatico e la revisione dei nostri modi di vivere tradizionali. Radiograph of a Family di Firouzeh Khosrovani è una storia d’amore, due modi di intendere la vita e la fede, con una figlia divisa tra un padre laico e una madre religiosa praticante negli anni che hanno cambiato la storia dell’Iran. The Other Side of The River di Antonia Kilian parla del percorso di una militante curda che si arruola nell’esercito per proteggere le donne dalla tirannia. Le Regard de Charles di Marc Dominico è invece un ritratto di Charles Aznavour attraverso l’esplorazione dei filmati da lui stesso realizzati dopo che gli è stata regalata una cinepresa.
“I film sono tutti belli e importanti – sottolinea Grosoli – sono riusciti da un punto di vista linguistico ed estetico e toccano temi importanti e attuali. Compreso il film su Aznavour, un personaggio importante per la cultura musicale del secolo passato. Sono film certamente popolari ma che non si portano dietro sperimentazioni vacue, usano invece tecniche e procedure di racconto perfettamente congeniali ai temi raccontati”.
Michele Aiello così commenta il suo film: “L’ho fatto pensando che sarebbe stato visto il prima possibile, è uscito due mesi fa e nella mia visione era già tardi. Parliamo di marzo e aprile 2020 e aveva una valenza sociale forte, volevo che tutte le testimonianze fossero riconoscibili anche da fuori. Ma il film ancora oggi per il tema spaventa le persone. Durante le proiezioni scopro che ci sono punti di vista diversi e chi ha vissuto in prima persona l’isolamento o lavorato in ospedale lo vede come un racconto quasi dolce o soft rispetto a quello che ha vissuto, mentre per chi non c’era è vissuto con grande intensità. Spero che riporti l’emotività della vicenda al di là delle polemiche e della politica”.
Produttrice de L’occhio di vetro, per Asmara Film, è Francesca Zanza: “La mia nota personale sul produrre documentario è che si tratta di un percorso tortuoso, fatto di immersioni ed emersioni, ma estremamente ricco, tra disgrazie e difficoltà. Si creano famiglie allargate e in particolare su L’occhio di vetro abbiamo avuto Cinecittà come co-produttori e distributori e tanti altri partner. Sono iniziative importantissime. Nel documentario non si può avere fretta”.
Rino Sciarretta, produttore del film su Aznavour per Zivago, dice “non sono un suo fan ma ne riconosco l’importanza nel Novecento, e volevo che il pubblico italiano lo conoscesse. Sta ricevendo molto interesse da parte della stampa, ed è una sfida rivolgersi anche ai documentari stranieri”.
Il regista di Man Kind Man, Iacopo Patierno, commenta: “La parte che mi interessa è che l’Italia non è più vista come un paese di serie B in termini di documentari. Abbiamo meno budget di altri ma abbiamo imparato a cavarcela. Il film è per me un manifesto che ho fatto unendo tutto quello che avevo imparato nel corso della mia vita professionale. E’ una grande soddisfazione, una questione da insegnare al pubblico. Il documentario è anche intrattenimento”.
“Gelsomina Verde – chiude Massimiliano Pacifico – sta prendendo vita e ne sono felice. Necessita proprio di essere visto al cinema, necessito di confrontarmi col pubblico, nelle discussioni accese che suscita. E’ un film che alimenta dibattito. Il pubblico è assuefatto all’idea di guardare tutto dalla poltrona di casa. Solo la partecipazione degli autori, dei registi, o di un critico o di un giornalista aggiunge valore in più e può convincerlo ad andare al cinema”.
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