Djamshed Usmonov


D. UsmonovE’ italiano, grazie a Fabrica e Raicinema, L’angelo della spalla destra, film tagiko in sala il 18 giugno per 01 Distribution e che venne presentato a Cannes due anni fa nella sezione Un certain regard. E siccome c’è lo zampino di Marco Müller vengono subito in mente successi internazionali come No man’s land di Tanovic o Lavagne di Samira Makhmalbaf.

La formula collaudata è quella di costruire una solida coproduzione internazionale (Italia, Svizzera, Francia, Tagikistan) attorno a un autore promettente ma geograficamente svantaggiato”. In Tagikistan, racconta infatti Djamshed Usmonov, 37 anni e tanti lavori alle spalle compreso il pastore e lo spalaneve, non solo non ci sono praticamente più sale cinematografiche ma c’è anche stata una diaspora dei registi seguita al crollo dellUrss e alla guerra civile che ha lacerato il paese fino al ’98. E questo per tacere del confinante Afghanistan dove gli scontri armati erano in corso proprio mentre nel villaggio di Asht prendeva forma questa fiaba morale su un uomo indifferente agli affetti familiari che scopre di avere un figlio e su un’anziana madre che accetta la morte per amor suo.

Il bel titolo nasce da una leggenda islamica: pare che ognuno di noi abbia due angeli sulle spalle, quello di destra segna su un libro le buone azioni, quello di sinistra le cattive; il giorno del giudizio si fa semplicemente la tara.

 

Il film è girato nel tuo villaggio.
Sì, lì sono nato e lì sono nati i miei genitori, i miei nonni, i miei bisnonni, giù giù fino ad Adamo. Il mio cuore è lì, anche se vivo metà dell’anno a Parigi. Ad Asht ho realizzato tutti i miei film.

 

Lo consideri un film autobiografico?
Sì, anche se al cinema l’autobiografia è meno accettata che in letteratura. Ma L’angelo è talmente autobiografico che ho chiesto anche ai miei genitori di recitare un ruolo: mia madre è la madre, mio padre, medico, fa il medico.

 

Comè stato l’incontro con Müller?
L’ho conosciuto nel ’98 a Teheran. E un pazzo: la mia idea l’ha subito coinvolto, poi c’è stato un lunghissimo corteggiamento che è sfociato in una storia d’amore.

 

Rivendichi la miscela di realismo e fiaba.
Sì, è un po’ quello che fa Borges o magari anche Lynch. Strappare un pezzo di realtà al sogno.

 

Quale cinema ami soprattutto?
Kurosawa è stato uno dei miei primi amori… Dersu Uzala, per esempio. E poi il neorealismo, una pagina del cinema mondiale che continua a dare frutti ovunque. Anche Kiarostami in effetti è neorealista.

 

Come si vive oggi in Tagikistan?
Dopo la guerra civile, la società è divenuta più violenta. E c’è una grave crisi economica: la maggior parte degli uomini d’estate si spostano in Russia per fare lavori stagionali. Molti hanno una “moglie” russa oltre alla famiglia in Tagikistan e questo spiega anche una certa situazione morale.

 

Nel tuo film citi in un certo senso “Nuovo cinema paradiso”, visto che il protagonista è un proiezionista.
Nuovo cinema paradiso l’ho visto e apprezzato, ma considero Tornatore molto italiano e il mio cinema molto tagiko.

 

E come definiresti lo stile tagiko?
Durezza, sguardo diretto, ingenuità.

autore
14 Giugno 2004

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