Il cinema italiano è in una fase di grande vitalità. Accanto a nomi consolidati come Bellocchio e Moretti ci sono tanti autori di diverse generazioni che si affermano e hanno la capacità di andare avanti e molti, come Pallaoro e Guadagnino, sono molto apprezzati anche all’estero. Ma resta la criticità delle sale. I direttori dei grandi festival riuniti dalla Festa del Cinema di Roma in un dialogo moderato dal presidente della Fondazione Cinema per Roma Gian Luca Farinelli sono concordi nel riconoscere qualità, pluralità e vivacità del nostro cinema, ma anche nel vederne i gravi problemi.
In Sala Petrassi, alla vigilia della Festa numero 17, si sono confrontati – nel primo dei “Dialoghi sul futuro del cinema italiano” – Alberto Barbera (Direttore della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia), Carlo Chatrian (Direttore artistico del Festival internazionale del cinema di Berlino), Thierry Frémaux (Delegato generale del Festival di Cannes) in videoconferenza, Paola Malanga (Direttrice artistica della Festa del Cinema) e Giona A. Nazzaro (Direttore artistico del Locarno Film Festival). “Ci sono indubbiamente delle positività – afferma Barbera – Come la vitalità e la capacità di rinnovarsi, un flusso costante di nuovi autori e l’abbandono di formule usurate, ma non possiamo negare le criticità. La prima è la disaffezione del pubblico verso il cinema italiano, che ha motivazioni diverse e tante concause che vanno analizzate. È inutile pensare di tornare indietro, le piattaforme streaming sono là per restare, dobbiamo fare i conti con la nuova realtà”. Poi il direttore della Mostra di Venezia torna sulla “provocazione” che aveva lanciato in occasione della conferenza stampa di luglio: “Il mercato non è in grado di assorbire 300 titoli l’anno e c’è bisogno di maggiore qualità, che è il principale strumento per combattere la battaglia. Dopo quelle dichiarazioni ho ricevuto telefonate da tanti produttori che mi hanno detto di essere consapevoli del problema. Certo, così abbiamo piena occupazione, ma non si sta costruendo un futuro per il cinema italiano”.
Thierry Frémaux sostiene che l’Italia, forte di una grande tradizione, ha saputo “reinventare un cinema forte, con nuovi registi che tracciano ognuno una strada diversa. Sorrentino è diverso da Garrone, che è diverso da Rohrwacher, e tutto questo rende il cinema italiano appassionante. Dopodiché, se fossi ministro della cultura in Italia comincerei dalla valorizzazione del patrimonio delle cineteche e dall’educazione cinematografica nelle scuole: per costruire una buona nazionale bisogna allevare gli juniores”. Rispetto al ruolo dei festival nell’interpretazione dei cambiamenti del mondo, Carlo Chatrian, che guida la Berlinale, è convinto che ci si debba porre “in maniera dialettica con le opere e non seguire solo ciò che offre il mercato. Se ci viene proposto qualcosa che scarta dalla norma, quello ci racconterà certamente molto dell’epoca in cui viviamo. Essere al passo coi tempi a volte significa mettersi in contraddizione con quanto la norma cinematografica propone”. E aggiunge: “Dobbiamo interrogarci su cosa c’è dietro la crisi della sala. Forse la crisi della sala è quella dell’idea di comunità, forse c’è un problema nello stare insieme”. Il direttore del Festival di Locarno Giona Nazzaro gli fa eco e sottolinea che “non c’è cinema senza sala, che resta l’epicentro del cinema. Dove non c’è cinema non ci sono le comunità e senza la sala perdiamo la mitologia del cinema. È importante anche ricordare la straordinaria ricchezza di idee e progetti che, grazie a laboratori e fondi, permettono ai registi di immaginare i loro film senza pressioni commerciali che in passato erano più presenti. Mi sembra che ci sia una crisi strutturale, ma sul versante delle idee vedo una grande propositività”. Paola Malanga, che debutta alla guida della Festa di Roma in questi giorni, dopo aver osservato per venti anni le evoluzioni del mercato e del prodotto italiano rileva che “ora i più importanti distributori chiedono i film italiani. Ho assistito a un cambiamento di percezione del cinema italiano da parte del mercato internazionale davvero incredibile. È accaduto e può continuare. La cosa bella è che non c’è una generazione contro l’altra, fanno i film gli ottantenni e i ventiduenni, ed entrambe le generazioni vanno ai festival”.
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