Dieter Kosslick


D. KosslickSi discute molto sulla presenza italiana al Festival di Berlino: più asciutta rispetto agli anni scorsi o semplicemente di tendenza, con nomi nuovi e coproduzioni. Ne abbiamo parlato con il direttore della Berlinale Dieter Kosslick, che ci ha raccontato le linee essenziali di una manifestazione che da sempre mette d’accordo sperimentazione e glamour hollywoodiano, anche grazie all’effetto cassa di risonanza degli Oscar (ma con lo spostamento delle date, le nomination non sono più in contemporanea).

 

Che impressione ha del cinema italiano quest’anno? La selezione berlinese appare più debole, rispetto agli scorsi anni, eppure schiera comunque autori nuovi e consolidati: l’esordiente Stefano Mordini in concorso e il maestro Ermanno Olmi fuori gara.
La cosa bella del cinema italiano è che ogni anno ci fa fare nuove scoperte. Quest’anno, per esempio, c’è Provincia meccanica di Stefano Mordini in concorso, ma abbiamo anche un film di un regista famoso come Ermanno Olmi, che ha girato insieme a Ken Loach e Abbas Kiarostami Tickets, prodotto da Domenico Procacci, un grande produttore e un buon amico. Produttori italiani sono coinvolti anche in imprese europee e internazionali. Hotel Rwanda di Terry George, ad esempio, è coprodotto da Mikado, mentre Solzne di Alexander Sukorov è coprodotto da Rai Cinema e dalla Downtown Pictures di Bologna. Insomma, c’è un sacco di Italia ques’tanno alla Berlinale. Tra i programmi speciali figura Deserto rosso che proietteremo in memoria di un grande direttore della fotografia come Carlo Di Palma; Panorama proporrà La vita che vorrei di Giuseppe Piccioni e il Kinderfilmfest Saimir di Francesco Munzi. Inoltre il programma della retrospettiva “Settings Locations Scenes. Production Design + Film”, dedicata alla professione dello scenografo, comprende tre film italiani. Da ultimo siamo particolarmente orgogliosi di avere Dante Ferretti tra gli ospiti del Berlinale Talent Campus oltre che come special guest della retrospettiva.
Personalmente credo che il cinema italiano sia forte, radicale e affascinante come sempre.

Hotel RwandaLa Berlinale ha sempre nutrito un forte interesse per i temi della cooperazione internazionale e ha una tradizione di impegno politico nei confronti del Terzo Mondo. Quali eventi vanno in questo senso nel programma 2005? Farete qualcosa per le vittime dello Tsunami?
Quest’anno concentriamo l’attenzione sull’Africa. Oltre al citato Hotel Rwanda, c’è anche il film di Raoul Peck Sometimes in April che parla del genocidio consumato dieci anni fa in Rwanda. Altre opere affrontano i temi della violenza maschile e dell’adolescenza: White Ravens Nightmare in Chechnya di Tamara Trampe e Johann Feindt, Massacre di Monika Borgmann, Lokman Slim e Hermann Theissen. Lost Children di Ali Samadi Ahadi e Oliver Stoltz mostra le inconcepibili atrocità della guerra. Facciamo vedere questo genere di film per contribuire ad accrescere la consapevolezza degli spettatori. Da ultimo segnalerei The silk makers of Como nella sezione speciale dedicata ai film degli anni ’50 sul Piano Marshall.

Come direttore del festival che atteggiamento ha nei confronti dei suoi principali concorrenti, Venezia e Cannes? Qual è lo specifico della Berlinale?
Ho rapporti di amicizia con i direttori di Venezia e Cannes: abbiamo appena preso un café cortado tutti e tre insieme in occasione degli European Film Awards a Barcelona. I nostri festival sono diversi e il Festival di Berlino ha una sua peculiarità: vendiamo più di 130.000 biglietti a spettatori normalissimi. Siamo un festival per il pubblico.

C’è la tendenza oggi a rafforzare i mercati legati ai festival. Ci saranno nuove iniziative su questo fronte a Berlino?
Il festival è cresciuto negli anni ma soprattutto si è diversificato sempre più. Lo European Film Market è in una fase di transizione. L’anno prossimo, nel 2006, si trasferirà in uno degli spazi espositivi più affascinanti della Germania, il Martin Gropius Bau, che ha già ospitato la mostra di Fabrizio Plessi e attualmente è occupato da un’esposizione dedicata a Stanley Kubrick. Il Martin Gropius Bau sarà un nuovo centro di raccolta per venditori e compratori. Lì di fronte, nell’ex Parlamento Prussiano oggi sede del Parlamento Berlinese, il festival già da quest’anno organizza il Co-Production Market. Inoltre la Berlinale, in collaborazione con la Kulturstiftung des Bundes, ha creato il World Cinema Fund.

Il membro italiano della giuria, Nino Cerruti, è uno stilista. Come mai questa scelta?  
Nino Cerruti è richiestissimo non solo a Parigi e Milano ma anche a Hollywood. Per decenni questo famoso stilista fondatore di “Cerruti 1881” ha disegnato abiti indossati dalle star nei film: Anita Ekberg (La dolce vita), Harrison Ford (Air Force One), Tom Cruise (Eyes Wide Shut). Ha realizzato anche dei capi per Prêt-à-Porter di Bob Altman, un film che fa satira sull’alta moda. Conosce molto bene il mondo del cinema e la Berlinale. Ecco perché l’ho chiamato.

autore
31 Gennaio 2005

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