DIARIO#3


Diletta D’Andrea non verrà alla Mostra. Si è sfogata oggi tra le lacrime, perché il Festival, a suo dire, non ha voluto ricordare Vittorio Gassman in modo adeguato. Unico omaggio, un film di 96 minuti, una sorta di documentario familiare da lui girato, Di padre in figlio.
In effetti, la mina vagante si aggirava sul Lido in questi giorni. Si avvertiva un senso di disagio, si sentiva che mancava qualcosa, ma la sensazione non era propriamente chiara. E oggi, lo scoppio. Si era parlato di un omaggio a Gassman, in conferenza stampa della Mostra. Alberto Barbera, il direttore, aveva annunciato un evento per la serata finale, un omaggio sulle coreografie di Carolyn Carlson, e qualcos’altro. Qualcos’altro è stata appunto la proiezione, ieri sera, di questo film per la tv. Una testimonianza intensa, struggente, a tratti esilarante, sul rapporto tra Vittorio e Alessandro. Ma la proiezione coincideva con la prima del film in concorso di Robert Altman, Il Dr. T e le donne, con Richard Gere. E in pochi si sono accorti di quest’omaggio.
Forse una cinquantina di persone, forse sessanta. Motivate, commosse, divertite. Nessuna presentazione degli organizzatori, però. Nessuna personalità ufficiale, nessun politico, nessuna istituzione, nessun attore o regista, neanche una parola. E soprattutto, nessun familiare. I motivi? Li spiega Diletta al telefono, piangendo. Proprio oggi, 1° settembre, che sarebbe dovuto essere il compleanno di suo marito Vittorio, scomparso due mesi fa. “Parlo – ha detto – anche a nome di tutti i figli. Non abbiamo ritenuto idoneo essere presenti, vista la proiezione del breve documentario. Ci aspettavamo un contributo più degno, in apertura o in chiusura. Al nostro dolore adesso si aggiunge il dolore di Venezia. Io chiedo rispetto per la memoria di un uomo che ha dato tanto al cinema. Avevo chiamato Barbera, chiedendogli altre iniziative. Ma nonostante queste pressioni non ha fatto nulla. La risposta è stata che gli spazi della Mostra sono questi. Il cinismo di questo paese è terrificante”.
Parole forti, cui il direttore replica prontamente. “A luglio lo abbiamo annunciato e ad agosto abbiamo iniziato la ricerca di un film adatto alla circostanza, perché non volevamo ripetere quello che stanno facendo nelle arene dove si proiettano tutti i film di Gassman, dal Sorpasso a Brancaleone. Abbiamo individuato il titolo che secondo noi aveva le caratteristiche giuste. Ed è una scelta che difendo fino in fondo. Ma trovarne una copia buona non è stato facile. Quando l’abbiamo scovata alla Cineteca Nazionale abbiamo invitato la famiglia a intervenire, ma non hanno accettato. So che si sono risentiti, credo più per un problema di contenuti che di collocazione. Non ritengono il film rappresentativo della carriera. Comunque, inserirlo in apertura di Festival era impossibile, il programma di Venezia è rigido”. Appoggia la scelta di Barbera il presidente della Biennale, Paolo Baratta: “Si tratta di un gesto squisito, perché si tratta di un omaggio all’uomo, prima che all’artista. E aspettate la serata finale, il balletto di Carolyn Carlson sarà molto toccante”.
Peccato, sia così rigida, la Mostra. Che non si potesse spostare di poco l’evento con Clint Eastwood. Chissà come si sarebbero comportati gli americani al nostro posto?
C’è comunque da dire che Di padre in figlio è stato apprezzato dal pubblico. Su tutte, s’impone una scena, nel film. Vittorio in metropolitana che guarda un rapporto idilliaco tra un padre e un figlio e ripensa alle sue lezioni d’inglese ad Alessandro quattordicenne, tra uno scapellotto, un urlo e un calcio a ogni verbo irregolare sbagliato. Poi l’abbraccio affettuoso, il fare la pace sfidandosi a braccio di ferro. Traspare l’ironia, la consapevolezza, l’amore fortissimo che lega i due. C’è una continua competizione tra padre e figlio, dove l’ego del padre s’impone su tutto, ma dove si notano gli sforzi di lui per contenerlo, questo ego, mentre fuoriesce da tutte le parti. E poi si pente, Vittorio, della sua esuberanza, delle intemperanze, quasi si scusa della troppo ostentata intelligenza, dell’estro, la competenza, quelle che cerca negli altri e se non le trova esplode. Commovente. Emerge il lato umano di un personaggio la cui statura professionale era già nota a tutti. Beve troppo, strizza gli occhi, grida contro gli attori con cui sta provando una commedia, fugge dal figlio cresciuto, ormai diciottenne, che vuole gestire il film che stanno girando insieme a modo suo, ci prova con la ragazzina che è stata una sua fidanzata. Alla fine si siede per terra, in piazza. Trasforma ancora una volta in gesto teatrale un suo disagio interiore. Disegna a terra un cerchio con un gesso e grida a tutti che quello è il suo mondo, lì può esercitare il potere. E nessuno può entrarci, assicura sferrando un bel calcione a un attore della compagnia che si avvicina per provocarlo.
Che coraggio, signori, a raccontarsi così. Che grande, ulteriore prova da parte di un grande uomo. Fa nulla, che il film sia datato, poco importa che non sia un vero film, al diavolo gli errori di doppiaggio, di inquadratura. È un ricordo straordinario, affettuoso, delicato. E non scontato.
Di sicuro, ma proprio di sicuro, bisognava dargli assai più rilievo.

autore
02 Settembre 2000

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