Il volto di un giovane Vittorio Gassman in bianco e nero proiettato sullo schermo apre la cerimonia di premiazione della 57ma Mostra del cinema di Venezia. Un lungo applauso accompagna le immagini. Fino alla voce dello stesso Gassman: “Cos’è? è già la stazione? Signori, si scende”. Saltata la coreografia di Carolyn Carlson (“per motivi personali”, hanno spiegato gli organizzatori), questo è quel che resta dell’omaggio al grande attore. A parte la dedica del proprio premio, la coppa Volpi per la migliore interpretazione, da parte di Javier Bardem e l’accenno di Milos Forman, presidente della giuria. Gentili.
Parte così la serata finale del festival, presentata da Chiara Caselli. In abito senape lungo ricoperto di strass e brillantini (ne ha fin sopra i capelli). È emozionata. Recita i testi per lei scritti (vorremmo sapere da chi) come fosse sul palcoscenico di un teatro. Brividi di retorica.
Sul palco del Palazzo del Cinema sfilano premiati e “premianti”. Il primo è Giuseppe Piccioni, presidente della giuria di Corto Cortissimo. “Un’esperienza molto piacevole – assicura – siamo stati in disaccordo su tutto, ma con grande serenità”. Georges Bollon, altro giurato, direttore del Festival di Clermont-Ferrant, spiega la motivazione del premio. Ma non sa leggere l’italiano. È solo il primo. Gli suggerisce le parole la traduttrice, in una sorta di eco che suscita qualche risatina tra il pubblico.
Per il premio De Laurentiis, dodici quest’anno le opere prime da esaminare, la giuria composta da Mimmo Calopresti, Peter Mullan (giacchetta di vellutino viola e kilt a quadretti in tinta), Bill Krohn e Chiara Mastroianni, ha assegnato i centomila dollari della Filmauro e i ventimila metri di pellicola della Kodak alla Faute à Voltaire, tra gli applausi. “Un premio importante – ha detto Aurelio De Laurentiis – offerto a un debuttante nella più bella professione del mondo”. Chiara Mastoianni consegna il premio, ma il lungo strascico dell’ardito abito nero (con schiena scoperta) si immobilizza sotto un piede che si trova nello stesso del palco. Può capitare, è la legge di Murphy.
Ma il bello arriva con il premio Mastroianni consegnato dalla roccia Rod Steiger, completo nero, camicia nera, fazzoletto rosso al taschino. Decide di parlare italiano. Oddio, italiano. “Io non conosce Mastroianni, uomo con mentalità con poesia, simpatico, sempre gentile, con buona immaginazione e cosa più importante uomo con verità”. Per Rose Byrne (che farà Star Wars Episodio 2), coppa Volpi come migliore attrice, ritira il premio Domenico Procacci che distribuirà il film in Italia. A lui il Leone d’Oro per la migliore battuta della serata: “Ricevere il premio come migliore attrice fa un certo effetto”.
Poi è il turno della coppa Volpi per il migliore attore a Javier Bardem, per Before Night Falls, che, come già detto, ha generosamente dedicato il premio a Gassman.
Marco Tullio Giordana dedica invece il premio alla sceneggiatura dei Cento passi (condiviso con Claudio Fava e Monica Zappelli) alla madre vera di Peppino Impastato: “Credo che lei sarebbe d’accordo”. L’avevamo appena vista, quella vera, in un filmato proiettato sullo schermo. Gran donna.
E dopo la consegna del Premio speciale per la regia a Buddhadeb Dasgupta per Uttara motivato dalla simpatica Samira Makhmalbaf, nera da capo a piedi, è il turno di Julian Schnabel, Gran premio della giuria per Before Night Falls. Veste con una giacca beige sopra una camicia sbottonata e petto villoso al vento. Sotto, ha una tovaglia uso pareo a quadri beige e bianchi e scarpe scure tipo espadrillas. Superfluo ogni tipo di commento.
Anche lui parla italiano. Oddio, italiano. “Sono sempre stato fanatico del cinematografo. Sono senza parole (anche noi, ndr), strano per me che parlo tutto il tempo. Sono pittore. E faccio un film. E qui ci sono Forman, Chabrol, Pontecorvo. Non voglio che si perda il mio sentire cubano. Mia moglie è basca, ha vissuto dieci anni in esilio. E Franco è un cazzo”. Echeggiante. Vabbè.
È finalmente il momento fatidico del Leone d’Oro. Chiara Caselli trattiene il respiro. Non vuole dirlo subito, cerca di creare suspense. Oddio, suspense. Il premio lo consegna Baratta, ma lo annuncia Forman, presidente della giuria. “Non è stato facile – precisa il regista di Qualcuno volò sul nido del cuculo e Amadeus – anzi”. Poi ha ricordato anche lui Gassman, che “manca a tutti”. Un lungo applauso accompagna il nome di Dayereh di Jafar Panahi, Leone d’oro di quest’anno. Primo Leone in assoluto per un film iraniano. Il regista sale sul palco accompagnato dal traduttore Babak Karimi (che poi, oltre a essere l’interprete ufficiale del cinema iraniano in Italia, è il montatore di Placido Rizzotto). “Io vengo dall’Iran – ha detto Panahi – un paese antico, pieno di cultura, di persone che amano la vita, persone che sono l’ispirazione dei miei film. Dedico il premio a tutte le persone buone del mio paese e a quelli che hanno contribuito a fare la storia del cinema iraniano, anche quelli sconosciuti”. Ringrazia Barbera che scegliendolo ha aperto la strada a questo film e “chi lo aiuterà in futuro”. Il film, una coproduzione italiana, non dimentichiamolo, sarà distribuito da Mikado nelle sale e da ElleU Multimedia in videocassetta. Buon auspicio.
Chiude Baratta: “Questa mostra – afferma – è stata caratterizzata da un intenso dibattito intorno alle opere presentate. Abbiamo vsto film provenienti da tanti paesi diversi con una forte attenzione alla realtà sociale, al problema della realtà individuale. La Biennale ha come scopo quello di aiutare la conoscenza. E ha rivelato un’arte che parla di voci che vogliono essere ascoltate”.
Altre immagini di Vittorio Gassman in bianco e nero chiudono la diretta su Tele+ in chiaro. Respiro di sollievo.
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