In finale e alla vigilia del Leone, un’altra giornata tutta italiana. Con Carlo Mazzacurati e i testimonial di Emergency.
Un ritorno alla commedia all’italiana per La lingua del santo (per la cronaca, molto applaudito ieri sera al Palagalileo e un po’ anche stamattina in sala Perla), con un occhio attento alla provincia del regista, quella padovana, descritta come rappresentativa di un Nordest arricchito e distratto, che si lascia dietro povertà e solitudine.
Ma, clamoroso, lui smentisce, nessun quadro del Nordest, nessuna analisi sociologica, non si parla dei ricchi alla Woody Allen (in questo caso cinici e crudeli anziché ridicoli), nessuna difesa dei poveri alla ricerca della sopravvivenza in un mondo che non li vuole, nessun accenno anticlericale, nessun messaggio in difesa della religione. È solo un film su un uomo a cui viene un esaurimento nervoso e nel corso della storia ritrova la forza, la sicurezza in se stesso e le parole. Peccato, noi ci avevamo letto molto di più. Esagerati?
Parti del dialogo si ispirano a Schei di Gian Antonio Stella (Mondadori), come la battuta “Vicenza fattura come l’intero Portogallo”. La canzone Guantanamera? “È la proiezione – questo Mazzacurati lo spiega – del luogo immaginifico come ipotetico sud del mondo, in contrapposizione alla immagini televisive angoscianti”. Vi basti.
Belle le prove d’attore di Antonio Albanese e Fabrizio Bentivoglio, che si sono ritrovati sul set dopo Un’anima divisa in due di Silvio Soldini, dove Albanese esordiva sul grande schermo nella parte di un portiere d’albergo e Bentivoglio era protagonista. Amici nel film e fuori (quest’estate sono andati in vacanza insieme). Non si sono ispirati a nessuna coppia celebre della commedia, spiegano, ma a qualcosa di più alto, letterario addirittura: Don Chisciotte e Sancho Pancha di cervantiana memoria. Avranno un futuro anche in coppia?
E se Bentivoglio ha perso le parole, per dirla alla Ligabue, ecco a voi Ligabue. Tanto per concludere in musica un’edizione della Mostra che alla musica ha dato largo spazio, sono sbarcati al Lido Jovanotti, Ligabue e Piero Pelù, insieme a Serena Dandini e Lella Costa. Sono i testimonial di Emergency, che hanno finanziato con la canzone Il mio nome è mai più, due miliardi di incassi più tutti i diritti (che Emergency ha acquistato) sulle ulteriori vendite. Come dire, comprando il disco si regala un pacchetto di medicine a un bambino che ne ha bisogno.
I due miliardi sono serviti per costruire un ospedale in Afghanistan, dove da vent’anni prosegue una guerra senza fine. Le immagini che raccontano il disastro sono quelle di Jung (Giang), coproduzione Rai (andrà in onda domenica 10 settembre su Raitre in prima serata) realizzata nell’arco di 18 mesi grazie all’impegno di Gino Strada, un chirurgo che ha salvato vite in tutto il mondo e di cui essere orgogliosi. Adesso tocca alla Sierra Leone, dove la guerra dura “soltanto” da dieci anni.
Ma i tre cantanti faranno quel fantomatico concerto insieme di cui tanto si è parlato? “Ci stiamo organizzando – assicura Pelù – ma lo faremo soltanto se canta anche Gino, che però data la somiglianza non vorrebbe essere scambiato per Guccini”. Plausibile.
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