CANNES – Una sorella, famosa attrice (Alice, Marion Cotillard), un fratello, insegnante e scrittore (Louis, Melvil Poupaud): fortissimo il sentimento che li unisce, l’odio. Perché? Non è dichiarato e “non sarebbe nemmeno molto morale parlarne”, ammette Poupaud nel film Frère et sœur di Arnaud Desplechin, che partecipa in Concorso.
Cotillard e Poupaud sono i poli di “una storia d’amore” tra un fratello e una sorella, all’ombra del non detto, senza il raggiungimento di un sostanziale punto d’apice narrativo e emotivo.
“Ho indagato con un approccio differente la via dell’ossessione. Ho pensato a Čechov, al suo trattare tematiche famigliari, e così – per questo film – Čechov è asseribile a Shakespeare: la dimensione melodrammatica mi affascina e questo sentire comincia dai personaggi, in Alice convivono gli opposti, detesta certi suoi sentimenti ma al contempo prova amore; così quello di Melvil può essere tragico ma anche provare rabbia. Io amo il Mélo: mi sono confrontato con le cose terribili della vita e sono stato protettivo con i miei personaggi. Truffaut diceva che i film sono come la vita, ma nella sua miglior manifestazione”, ricorda l’autore francese, che del suo film precisa: “Non possiamo parlare di due fidanzati ma è una storia d’amore”, allargando il concetto anche al personaggio di Zwy, interpretato da Patrick Timsit, perché con Louis “c’è un’amicizia forte”.
Il film comincia “5 anni prima” con un lutto – Louis perde il suo bambino, che Alice non ha mai conosciuto, proprio per la distanza e il silenzio che da tempo si sono stabiliti tra i due, dopo un rapporto invece complice, che definire “fraterno” si avverte limitante. Alice è anche mamma di Joseph, nell’atto della vicenda presente un adolescente, somigliante al figlio perduto da Louis, come lo stesso zio dice al nipote, in occasione dell’incontro indotto dal ricovero dei nonni – Abel e Marie-Louise -, che un incidente ha messo sotto shock e in coma. Alice, Louis e Fedele (Benjamin Siksou), il fratello minore, circuitano intorno agli anziani genitori in queste giornate di drammatica ospedalizzazione, senza che i primi due mai s’incontrino, ma solo si scontrino invece, casualmente, in una corsia… del supermercato, sequenza in cui la storia potrebbe generare la sua scintilla, mentre Alice semplicemente finge di non conoscere il fratello.
“Il mio personaggio non deve essere spiegato, ne va colta l’essenza: i sentimenti opposti che l’abitano sono qualcosa d’interessante da fare al cinema”, spiega Marion Cotillard. “Lei è molto forte, aggressiva ma anche gentile. Lei ama il fratello. Per prepararmi, come sempre, non sono ricorsa a un metodo, ma in tutte le mie preparazioni voglio indagare l’infanzia dei miei personaggi. Poi, contano i costumi, i dettagli, per stabilire connessione col ruolo. Di lei ho voluto esplorare le paure, le patologie e ne sono rimasta affascinata: mi sono molto affidata all’immaginazione, all’impatto che il suo essere aveva su me stessa. E la chiave della relazione è nel libro del fratello”, di cui, quando le domandano in un’intervista (nel film), lei risponde dicendo che ha solo un fratello, Fedele, confermando in questa sequenza coerenza a quella del supermercato. “Ho subito pensato al film come a un film d’amore. Ho sentito il bisogno di essere curiosa, ma anche di guardare a distanza i personaggi per capirne di più”; un personaggio come Alice “è mistero e amore; infatti, del ruolo mi hanno interessato le sue differenze. Ho amato riprodurne l’emotività”.
E sulla stessa lunghezza d’onda è Poupaud: “L’ho immaginato come un film d’amore: fatto d’amore appunto e di passione, ossessione. Lei l’ho immaginata come una fidanzata perduta, come perduto era il personaggio. E, nella riconciliazione sta la loro luce”.
In questo cortocircuito d’amore e d’odio, che si amalgamano come potessero essere un sinonimo, s’innesta un’ulteriore figura, extra-familiare: Lucia (Cosmina Stratan), un’ammiratrice dell’Alice attrice, che l’aspetta all’uscita degli spettacoli, e con cui la donna stabilisce subito una confidenza tale da raccontarle prestissimo dei sentimenti per Louis. La donna, “bizzarra” come l’ha definita la sua interprete, espira qualcosa di leggermente inquietante ma probabilmente rispecchia il bisogno di Alice di una continua ricerca d’amore, in questo suo stato di bipolarità emotiva per le persone e le cose della vita.
S’attende un crescendo, s’aspira ad assistente ad un punto apicale della vicenda, mentre la narrazione di questa forte tensione tra sorella e fratello, non solo non viene mai esplicitata nella sua motivazione scatenante – forse, lontanamente lasciata ad intendere (c’è stato un incesto?) -, ma nemmeno esplode: Alice affida un bigliettino per Louis al figlio, in cui gli dà un appuntamento per un caffè. L’incontro è sfumato, brevissimo, affatto denso, non tocca nessuna corda solleticata fino a quel momento della storia, semplicemente lei si dichiara dispiaciuta e questo sembra bastare per ristabilire equilibrio. Poi, una sequenza finale vede Alice e Louis cercare di addormentarsi nello stesso letto, senza che Desplechin alluda a nulla di equivoco, intendiamoci – se non, dato di fatto, che Louis si metta sotto le coperte completamente nudo, forse… eco di quel primordiale rapporto “d’amore” tra la sorella e il fratello.
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