Due grandi icone del cinema d’Oltralpe, Catherine Deneuve e Juliette Binoche per la prima volta insieme nel film tutto francese, La vérità del giapponese Kore-eda Hirokazu, Palma d’Oro a Cannes 2018 per Un affare di famiglia, e che esce in sala dopo aver aperto la Mostra del cinema. La Deneuve è Fabienne, una famosa attrice a fine carriera, dedita al fumo e all’alcol, con un’autobiografia in uscita a grandi tirature, fatta di omissioni e bugie. E anche un film nel quale è comprimaria accanto a una giovane e invidiata protagonista. Facile immaginare i commenti di Fabienne che nel suo curriculum artistico vanta un passaggio nel letto di un regista affermato, evento fondamentale per soffiare la parte a una bravissima collega – “preferisco essere una cattiva madre e una cattiva amica ma una buona attrice” – di lì a poco morta tragicamente, il cui fantasma ogni tanto riemerge nell’esistenza di Fabienne. Una donna poco empatica con gli altri che preferisce pranzare spesso da sola nell’abituale ristorante cinese. Intorno a lei un anziano e fidato assistente dedicato ai suoi capricci; un compagno cuoco tra le mura domestiche che la coccola; l’ex marito un po’ stravagante e povero in canna.
E soprattutto Lumir/Juliette Binoche, la figlia sceneggiatrice arrivata da New York dove vive, con il marito attore di serie B della fiction americana, Ethan Hawke, e la piccola figlia. Da bambina Lumir è stata trascurata dalla madre anaffettiva, forse voleva seguire le orme professionali dell’ingombrante figura materna, non riuscendoci. Ora il rapporto conflittuale con la madre, fatto di risentimenti, sembra promettere una resa finale dei conti, in un alternarsi di affetto e disamore. Ma anche la possibilità che, tra verità e bugie, madre e figlia alla fine si accettino con le loro esistenze.
La vérité, in sala dal 3 ottobre con Bim, è una raffinata commedia in cui convivono malinconia e ironia, toni sia profondi che lievi, in una Parigi autunnale, con i colori del giardino della casa familiare che accompagnano madre e figlia in un momento particolare e decisivo della loro esistenza. Per l’autore è il suo primo film fuori dal Giappone, in una lingua straniera e con una troupe interamente francese.
“È stata Juliette Binoche ad accendere la scintilla iniziale. Ci conoscevamo già da qualche tempo quando venne in Giappone nel 2011 e sostenne che un giorno avremmo fatto qualcosa insieme”, dice Kore-eda. All’inizio non si sapeva dove sarebbe stato girato, e dal Giappone si è arrivati in Francia, “con due interpreti che ben rappresentano la storia del cinema francese”. E’ allora che il regista cambia la sceneggiatura originariamente di una pièce, di una commedia scritta nel 2003 e ambientata nel camerino di un’attrice teatrale che si sta avviando verso la fine della sua carriera. Ed è diventata la storia di un’attrice del grande schermo e di sua figlia che ha rinunciato al sogno di ripercorre la strada artistica della madre.
“Durante il processo di riscrittura, ho più volte chiesto a Catherine e a Juliette qual è la vera essenza della recitazione e sono state le loro parole a nutrire la sceneggiatura e a darle vita”. “Prima di girare ci siamo incontrati con il regista varie volte a Cannes, Parigi, in Giappone. Ha creato questi personaggi chiedendo il nostro aiuto. In Fabienne, e spesso accade, ho messo molto di me stessa come donna, andando all’essenziale e tralasciando il superfluo – dice la Deneuve – la capisco perfettamente ma non sono una ‘macchina d’interpretazione’ come Fabienne, del resto attrici come queste le ho incontrate solo a teatro”.
“Da 14 anni speravo di lavorare con Kore-eda, e da piccola mi ero innamorata di Catherine, simbolo della femminilità, con il desiderio di esserle un giorno accanto – confessa la Binoche – Con questo film si sono realizzati questi due sogni così lontani. Ho la fama di preparare molto i film che interpreto. Kore-eda non voleva tutto ciò, mi ha costretta a ubbidire. Lui si è divertito a gesticolare, respirare, giocare, per farmi capire a fondo il personaggio. E nella sequenza della cena familiare, con Lumir che attacca la madre perché ferita dalle sue bugie, ho compreso a fondo il mio personaggio e il regista da quell’istante ha smesso di divertirsi con me”.
E' da segnalare una protesta del Codacons con annessa polemica circa la premiazione di Luca Marinelli con la Coppa Volpi a Venezia 76. L'attore aveva rilasciato una dichiarazione a favore di "quelli che stanno in mare e che salvano persone che fuggono da situazioni inimmaginabili". "In modo del tutto imprevedibile - si legge nel comunicato del Codacons - il premio come miglior attore non è andato alla splendida interpretazione di Joaquin Phoenix"
Venezia 76 si è distinta anche per una ricca attività sul web sui social network. Sulla pagina Facebook ufficiale sono stati pubblicati 175 post che hanno ottenuto complessivamente 4.528.849 visualizzazioni (2018: 1.407.902). Le interazioni totali sono state 208.929 (2018: 64.536). I fan totali della pagina, al 6 settembre 2019, sono 360.950, +4.738 dal 24 agosto 2019
Nel rituale incontro di fine Mostra Alberto Barbera fa un bilancio positivo per il cinema italiano: “In concorso c’erano tre film coraggiosi che osavano – ha detto il direttore - radicali nelle loro scelte, non scontati, non avrei scommesso sul fatto che la giuria fosse in grado di valutarne le qualità"
Luca Marinelli e Franco Maresco, rispettivamente Coppa Volpi e Premio Speciale della Giuria, ma anche Luca Barbareschi per la coproduzione del film di Roman Polanski J'accuse. Ecco gli italiani sul podio e le loro dichiarazioni