BRESLAVIA – “Dopo il Vangelo di Pasolini, mi dicevano, tu cosa pensi di poter fare? Una domanda ragionevole. Eppure, anche se il mio film col suo non c’entra niente, io penso che Pasolini sarebbe stato contento di vederlo”. Con queste parole l’eclettico Pippo Delbono ha concluso la masterclass con il pubblico del T-Mobile New Horizons Film Festival di Breslavia, un potente flusso di pensieri e riflessioni sulla sua arte, da sempre intensamente mescolata agli accadimenti della vita. Il suo nuovo film da regista, Vangelo, sarà a Venezia come evento speciale delle Giornate degli Autori. E il tema, la messa in scena del testo sacro all’interno di un centro d’accoglienza per rifugiati, risuona perfettamente con la poetica del regista di Guerra, Amore carne e Sangue: “Quando faccio le riprese sono come un samurai, come un acrobata che cammina su un filo – ha detto Delbono – e quando cammini su un filo non puoi permetterti nessuno psicologismo da attore, devi restare ancorato alla realtà. Su quello stesso filo camminano anche i rifugiati, persone che hanno attraversato l’acqua e la morte. Io li ho guardati negli occhi e mi sono lasciato guardare: se ci dimentichiamo che la vita è molto più importante del cinema, non siamo documentaristi ma ladri”.
Vangelo non sarebbe dunque un documentario, né un film di finzione, ma piuttosto una “danza” alla ricerca di quelle “coincidenze sacre, magiche e artistiche” che nessuna sceneggiatura può prevedere. “È incredibile quanta bellezza ci sia nella gente che la società considera ai margini. Matti, poveri, profughi, ho visto volti incredibili, da Caravaggio. Una bellezza che stiamo perdendo, respingendola”. Deciso a portare i rifugiati di Vangelo al Lido, perché “anche se non sono una persona ideologica, credo che sarebbe un atto politico importante”, Delbono è ormai una presenza ricorrente nei festival cinematografici internazionali. “Ma io preferisco buttarmi a capofitto nella vita, perché quello è il posto degli artisti. Il nostro è un mestiere pericoloso: basta poco per farsi trascinare fuori. Diventi famoso ed esci dal reale”.
A partire dagli esordi nel teatro grotowskiano di Ryszard Cieslak, “abbandonato quando mi fu chiaro che quel tipo di teatro era come una missione per la quale avrei dovuto lasciare tutto”, Delbono ha ripercorso le tappe più importanti della sua carriera, dall’incontro con la grande maestra Pina Bausch (“È lei che mi ha insegnato a guardare il mondo dal basso in alto, come un bambino”) a quello con l’attore Bobo, da vent’anni presenza fissa in tutti i suoi film e spettacoli teatrali (apparirà anche, ma Delbono non rivela come, nel Vangelo): “Quell’uomo è stato per me l’occasione per uscire da una depressione mostruosa. Avevo da poco scoperto di essere sieropositivo, mi era crollato il mondo addosso. Lo conobbi durante un seminario per attori al manicomio di Aversa, mi sembrava straordinario. Sordomuto, analfabeta, era là dentro da 47 anni. Feci una follia, lo portai fuori per la prima volta. Ero talmente preso da lui che dimenticai di prendere gli antidepressivi”.
Difficile immaginare una presenza carismatica come quella di Delbono al servizio di altri registi. Eppure l’artista, che alle Giornate degli Autori sarà anche uno degli interpreti de La ragazza del mondo di Marco Danieli, ha ammesso di sentirsi a proprio agio anche sui set degli altri. Specialmente se giovanissimi: “Recitare per gli altri mi libera dalla responsabilità della mia opera, mi diverte, mi permette di sperimentare. Vedo tanta gente interessante, nella nuova generazione di cineasti. Mi commuove quando questi giovani così preparati scrivono pensando a me, li preferisco alla generazione di mezzo. Un autore che mi piace molto è Nanni Moretti: è uno degli ultimi ad aver inventato un linguaggio cinematografico nuovo, ad aver cercato un rapporto personale con la verità. Negli altri ci vedo troppa furbizia. Il suo viaggio invece mi sembra molto sincero”.
Sarà Microcinema a distribuire nelle sale italiane il film Leone d'Oro 2016, The woman who left, nuovo capolavoro di Lav Diaz. La pellicola, che nonostante il massimo riconoscimento al Lido non aveva ancora distribuzione e che si temeva restasse appannaggio soltanto dei cinefili che l'hanno apprezzata alla 73esima Mostra di Venezia, sarà quindi visibile a tutti, permettendo così agli spettatori del nostro Paese di ammirare per la prima volta un'opera del maestro filippino sul grande schermo
Il film di Denis Villeneuve segnalato dalla giuria di critici e giornalisti come il migliore per l'uso degli effetti speciali. Una menzione è andata a Voyage of Time di Terrence Malick per l'uso del digitale originale e privo di referenti
Il direttore della Mostra commenta i premi della 73ma edizione. In una stagione non felice per il cinema italiano, si conferma la vitalità del documentario con il premio di Orizzonti a Liberami. E sulla durata monstre del Leone d'oro The Woman Who Left: "Vorrà dire che si andrà a cercare il suo pubblico sulle piattaforme tv"
Anche se l’Italia è rimasta a bocca asciutta in termini di premi ‘grossi’, portiamo a casa con soddisfazione il premio Orizzonti a Liberami di Federica Di Giacomo, curiosa indagine antropologica sugli esorcismi nel Sud Italia. Qualcuno ha chiesto al presidente Guédiguian se per caso il fatto di non conoscere l’italiano e non aver colto tutte le sfumature grottesche del film possa aver influenzato il giudizio finale: “Ma io lo parlo l’italiano – risponde il Presidente, in italiano, e poi continua, nella sua lingua – il film è un’allegoria di quello che succede nella nostra società". Mentre su Lav Diaz dice Sam Mendes: "non abbiamo pensato alla distribuzione, solo al film. Speriamo che premiarlo contribuisca a incoraggiare il pubblico"