Proprio nel giorno di presentazione del nuovo documentario su Sergio Leone, sbarca al Lido di Venezia un nuovo film western che richiama in maniera molto esplicita fin dal titolo, Dead for a Dollar, la celebre “trilogia del dollaro” che ha reinvento il genere. Firmato dal grande regista statunitense Walter Hill, il film è stato presentato fuori concorso e, nonostante un budget non altissimo, vanta un cast di primo livello composto da Christoph Waltz, Willem Dafoe, Rachel Brosnahan, Warren Burke e Benjamin Bratt.
“Il mio film assomiglia alla premessa dell’Iliade, è una storia che fa parte di tutti noi” commenta Hill. In effetti la dinamica della trama è proprio quella (citata nello stesso film) di Elena di Troia e della sua fuga. La vicenda segue il viaggio del cacciatore di taglie Max Borlund (Waltz) che, accompagnato dal soldato Alonzo Poe (Burke), deve andare a salvare Rachel Kidd (Brosnahan), moglie di un importante imprenditore del New Mexico e aspirante politico, che è stata rapita per richiedere un riscatto. Quando Borlund scoprirà che la donna era in verità in fuga volontaria dal marito violento, dovrà scegliere quale direzione prendere: quella dei soldi o quella dell’onore. A complicare le cose ci pensano una banda di temibili criminali e un ex galeotto in cerca di vendetta (Dafoe).
In Dead for a Dollar, tutti i cliché del genere vengono ripresentati, a partire dall’eroe senza macchia interpretato da Waltz, di cui è difficile mettere in dubbio dall’inizio alla fine la solidità morale, oltre che l’incredibile velocità nello sparare. Oltre alle inevitabili somiglianze e al titolo, i riferimenti al lavoro di Leone sembrano inoltre rimanere molto sullo sfondo, come ammette lo stesso Hill: “I film di Leone con Morricone sono un bene mondiale. Fondamentali nella storia del western e del cinema mondiale. Ci sono registi che raccontano storie non possono essere copiate, come Bunuel, e poi registi che vengono continuamente imitati, penso a Kurosawa o John Ford. Leone è uno degli esempi classici di questa seconda tipologia, quello che lui ha donato è stato ripreso e riutilizzato da tantissimi, in qualche modo tutti noi siamo collegati l’uno con l’altro. Non possiamo separare il nostro lavoro del tutto da quello che è stato fatto prima. Quando ero un giovane regista, molti, molti anni fa, dicevano che ero influenzato da Kurosawa, che è influenzato a sua volta da John Ford, che a sua volta era influenzato da Griffith, nel quale si vede l’influenza di Dickens. Non siamo delle isole, siamo qui insieme, raccogliamo le nostre personalità in quadro più ampio di cui Leone fa parte. L’ho conosciuto, gli ho dato la mano un paio di volte, ho ascoltato una sua conferenza che era perlopiù un monologo, una figura imponente”.
La differenza principale resta l’obiettivo finale del film che, a differenza della sperimentazione formale portata avanti dal massimo esponente degli Spaghetti Western, sembra puntare tutto su una forma di intrattenimento un po’ fine a sé stesso, che non si concentra né su una messa in scena sorprendente, né su particolari colpi di scena, né tanto meno su l’approfondimento dei personaggi. A rendere ampiamente fruibile il film resta il tocco di Hill nel ritmo incalzante con cui scorre la trama, che si intreccia senza soluzione di continuità da uno snodo narrativo all’altro. Un progetto che, però, sembra soffrire evidentemente le ristrettezze economiche con cui è stato girato, e che, a parte i grandissimi volti dei protagonisti, sembra più incanalarsi verso uno standard televisivo che cinematografico.
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