Davide Ferrario: sulla strada di Garibaldi


VENEZIA – Dopo Noi credevamo, ecco un bel documentario di Davide Ferrario che sembra proseguire le riflessioni sull’Italia contemporanea a partire dal Risorgimento. Il tema è tornato tremendamente attuale e non solo per l’anniversario appena celebrato. Dentro a quella pagina di Storia, appena si tolgono le incrostazioni di retorica da sussidiario, sembra esserci quello che siamo e che potremmo diventare. Cioè, almeno a sentire il regista bergamasco, il nulla. “Gli italiani sono al tramonto, si stanno estinguendo. Tra cent’anni non ne resteranno quasi più”.

 

Piazza Garibaldi, a Controcampo, parte dalla spedizione dei Mille per dar vita un road movie, nel segno del precedente La strada di Levi. Lì Ferrario ripercorreva il viaggio da Auschwitz al Torino dello scrittore, qui si muove tra Bergamo e Teano con altrettanta libertà. Prodotto daRossofuoco con Rai Cinema e distribuito da Cinecittà Luce che organizzerà anteprime in sala a settembre e un percorso di visione per le scuole, il film è scritto con Giorgio Mastrorocco, un ex compagno di liceo del cineasta che oggi fa lo storico, mentre nasce da un’idea di Marco Belpoliti, come La strada di Levi del resto. Prossimo impegno per Ferrario un film con Marianne Faithfull e Chris Cooper dal romanzo “Lillà e bandiera” di John Berger, storia d’amore ai tempi della globalizzazione.

 

In “Piazza Garibaldi” il centocinquantenario sembra appena uno spunto, che presto vi lasciate alle spalle.

E’ vero che siamo partiti da lì. Anzi dai festeggiamenti del 1961, quando avevo appena 5 anni e c’era una grande attesa, un senso di progresso. Cinquant’anni dopo, nel 2011, sono un uomo maturo e nessuno riesce più a immaginare il futuro. Come mai siamo arrivati a questo senso di impotenza?

 

L’Italia che raccontate è stretta tra neoborbonici e leghisti, le piccole patrie trionfano sull’idea unitaria.

Si cerca l’identità in qualcosa che prima non c’era. Siamo in via di estinzione, nel giro di un secolo gli italiani saranno dieci milioni di sessantenni single, eppure come ci comportiamo con gli immigrati? Il film si chiude con questo grido di dolore.

 

Però c’è tanta gente che resiste e nel film la incontrate spesso, da Nord a Sud.

Sì, gli italiani buoni esistono ma sono tutte isole nella bassa marea dell’Italia contemporanea. I Mille stessi erano una minoranza, anche la Resistenza è stata fatta da una minoranza. Questo paese va avanti a strappi, ma non conosce vere rivoluzioni.

 

Lei e Mastrorocco avete studiato nello stesso liceo dei garibaldini.

Ma allora non lo sapevamo, l’abbiamo scoperto quarant’anni dopo. Quaranta diciassettenni sono pariti da lì. Dei 180 bergamaschi che si unirono a Garibaldi, il 70% aveva meno di 20 anni. Il primo a morire, nella battaglia di Calatafimi, doveva ancora compiere 14 anni. Nel film usiamo le lettere, i memoriali e i racconti di questi ragazzini: è una delle voci fuori campo.  

 

Poi ci sono i classici, ma niente di polveroso, anzi sono testi spesso sorprendenti anche grazie agli attori che li interpretano. Umberto Saba letto da Marco Paolini, Giacomo Leopardi che incontra Luciana Littizzetto, Alberto Savinio per Filippo Timi o Luciano Bianciardi per Salvatore Cantalupo.

Dovevano esserci anche Toni Servillo e Silvio Orlando, ma il film stava diventando troppo lungo. Quello di Saba è un pensiero straordinario: dice che la nostra storia è fondata sul fratricidio e per questo non riusciamo a fare la rivoluzione perché per fare la rivoluzione bisogna uccidere il padre. Leopardi invece, quando spiega quanto siamo bravi a parlare male di noi stessi, sembra che si stia riferendo ai talk show televisivi, ma scrive nel 1824.

 

E’ un film necessariamente rivolto ai giovani.

Per i cinquantenni come me è una mazzata terribile, ma ai ragazzi fa venire la rabbia giusta. Noi che siamo garantiti possiamo permetterci il pessimismo, loro no.

 

Martone ha finalmente iniziato a smontare il Risorgimento, lei ha proseguito su questa strada.

Vent’anni fa né io né Martone avremmo mai parlato di questi temi, oggi quella generazione inizia a farsi domande in modo non scolastico e si torna anche a parlare di patria. Si cerca un’alternativa rispetto al consumismo sfrenato o al revisionismo nostalgico.

 

Fa effetto vedere la targa di una delle tante Piazze Garibaldi d’Italia presa a martellate da un sindaco. C’è un intento politico nel mostrarlo?

Questo non è un film politico, ma antropologico. Certo, in filigrana c’è anche la politica. Che io collego al fatto che siamo un paese vecchio ma che non vuole ammettere di esserlo. Del resto abbiamo un premier che è la massima espressione di questo mascheramento.

 

Come sintetizzerebbe la sua idea di documentario?

Per me è uno strumento per capire e non per dimostrare una tesi. Confesso che non mi piace tanto Michael Moore, al di là della controinformazione che fa. Io non parto con un’idea, ma costruisco il film mentre lo faccio, sperando anche nel caso, con molti incontri non programmati.  

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08 Settembre 2011

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