Davide Alfonsi e Denis Malagnino: “Kramer contro Kramer” tra le case popolari


Attori non professionisti, camera (digitale) a mano, riprese negli ambienti reali, niente musica e budget ridotto al minimo. Si direbbe un esperimento a metà tra il Dogma e il Neorealismo, con incursioni nella poetica pasoliniana, per il suo sguardo empatico e dolente verso gli “ultimi”. In realtà si tratta dell’opera seconda di un gruppo di registi che già fece scalpore alla Mostra di Venezia (nella Settimana della critica) nel 2006 con La rieducazione, girato con soli 500 euro. Stavolta le risorse economiche sono più consistenti (anche se non molto) e il film nasce già con una distribuzione che è anche co-produttrice, cioè Officine Ubu, che lo porterà in sala entro l’anno. Ad ogni costo, firmato da Denis Malagnino e Davide Alfonsi, ovvero due degli artefici della neonata Amanda Flor Produzioni, sarà al Festival di Roma nella sezione L’Altro Cinema Extra, tra i lungometraggi fuori concorso.

Nella pellicola Gennaro (Gennaro Romano) si aggira come un animale in gabbia tra le case popolari della perifera romana in cerca di un lavoro che lo riscatti dalla criminalità e soprattutto che gli permetta di riavere suo figlio, affidato agli assistenti sociali. Ma il debole tentativo fallisce e lui opta subito per il guadagno facile, quello dello spaccio e della violenza, seppure con una sua moralità tutta personale che gli impedisce di vendere la droga ai ragazzini – “perché tengo i figli” – ma non, se capita, di ammazzare qualcuno. La sua guerra, però, non è solo con una società che lo rifiuta e in cui non sa trovare un posto, ma anche con la moglie e madre di suo figlio (Luisa Cavalieri), che esce di galera con l’indulto e si mostra più spietata di lui.

Come è nato Ad ogni costo?
Siamo partiti con l’idea di fare un film sentimentale, un dramma familiare con una forte dimensione emotiva. Al centro di tutto c’è una guerra tra un padre e una madre, una sorta di Kramer contro Kramer estremo tra le case popolari. Subito abbiamo pensato a Gennaro e Luisa che, pur non essendo attori professionisti, erano perfetti per i ruoli. Lui lavora in un bar, lei fa la parrucchiera; avevamo già lavorato con loro e conoscevamo la loro fortissima presenza scenica. Gennaro in particolare è impressionante: è come se fosse portatore di una sorta di estetica della miseria. Abbiamo iniziato a girare sulla base di un semplice canovaccio cucito su di loro, e loro l’hanno riempito di emozioni e di contenuto.

Vi siete ispirati a qualche fatto di cronaca?
No, ci interessava parlare di una famiglia disintegrata perché crediamo che la famiglia sia il cuore pulsante della cultura, dell’etica e dell’economia, ma non pensavamo a nessun fatto in particolare. Mentre giravamo però sui giornali è uscita la storia di una coppia di genitori che è scappata con il figlio…

 

Guardando il film ci si può sbizzarrire a trovare dei riferimenti, che potrebbero andare da Trainspotting ad Amore tossico, almeno per il tema della droga. Quali ispirazioni vi hanno guidato?
Soprattutto un certo cinema francese, in particolare quello dei fratelli Dardenne o di Abdellatif Kechiche, che con la camera a spalla stanno addosso ai personaggi e raccontano la verità della banlieue. Secondo noi il cinema italiano di oggi è poco interessato a raccontare certe realtà, certe storie che invece sono importanti e che troppo spesso vengono lasciate alla televisione.

In questo film l’ambientazione, inquietante, diventa a sua volta un personaggio. In che luoghi avete girato?
E’ Guidonia Villanova, l’estrema periferia nord-est di Roma, un ghetto nel ghetto di Villanova, dove abbiamo avuto la collaborazione fattiva degli abitanti. Luisa vive proprio lì ed è una specie di mito del quartiere, e anche le “vedette” che fanno da palo mentre Gennaro spaccia abitano in quelle case popolari.

Ad ogni costo ha anche un significato politico: lo spaccio è agevolato da un poliziotto corrotto, diversi personaggi violenti e criminali escono di prigione grazie all’indulto e tornano a delinquere.
Il discorso della droga era necessario per chiarire il dilemma morale di Gennaro, che è uno spacciatore con una sua morale, uno che si fa degli scrupoli e proprio per questo non raggiunge il suo obiettivo e soccombe di fronte alla moglie, una donna spietata, al di sopra del bene e del male. E poi volevamo sottolineare che in quello scenario non c’è lo Stato, e se c’è è corrotto. Lì l’uomo è lasciato a se stesso, anche gli assistenti sociali di fatto sono assenti, sono tutti soli e tutti combattono contro tutti. E’ uno dei tanti luoghi del nostro paese in cui regna la solitudine.

Siete già al lavoro su nuovi progetti?
Su una miniserie televisiva per Fox Italia dal titolo Don Mario, che è un po’ un Don Matteo alla rovescia e parla di un ex-boss che torna nella sua zona nelle vesti di prete (interpretato da Denis Malagnino, regista e attore di Ad ogni costo, NdR) e deve affrontare degli agnelli che in realtà sono lupi.

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25 Ottobre 2010

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