David Cronenberg: “Carl Marx a Wall Street”


CANNES – Occupy, il crollo della finanza mondiale, i sommovimenti di una società stremata dalla crisi e un necessario ritorno alla semplicità delle origini, ma anche una visione farsesca della protesta, con i topi sventolati al posto delle banconote e una chapliniana torta in faccia. È di sicuro molto attuale Cosmopolis, anche se non certo il film più riuscito tra quelli recenti di David Cronenberg. In concorso al Festival di Cannes e subito in sala in 280 copie con 01 Distribution, è tratto dal romanzo profetico dell’americano Don DeLillo datato 2003, a lungo considerato impossibile da filmare per la sua verbosità. Non nuovo alle esperienze letterarie, il regista canadese, che ha già “saccheggiato” William S. Burroughs (Il pasto nudo) e J.G. Ballard (Crash), ha scelto come protagonista un giovane attore in auge, il “vampiro” Robert Pattinson, che mantiene per tutta la vicenda uno sguardo fisso e allucinato.

 

E’ Eric Packer, 28enne squalo della finanza che, a bordo di una pazzesca limousine bianca totalmente insonorizzata e ipertecnologica, una sorta di astronave-ufficio-alcova, attraversa una New York apocalittica. Il presidente degli Stati Uniti è in città, i funerali di un rapper famoso paralizzano il traffico e la protesta esplode ovunque. Anche contro Eric che prenderà una torta in faccia da una sorta di action painter anarchico (Mathieu Amalric). Gli incontri si susseguono: una sua amante e consigliera (Juliette Binoche), la fidanzata frigida, ereditiera di un’immensa fortuna (Sarah Gadon, vista anche nel film del figlio Brandon Cronenberg), la sua responsabile della Teoria (Samantha Morton). Eric parla con tutti ma davanti a sé ha un solo scopo, farsi tagliare i capelli dal barbiere di suo padre in un quartiere di periferia. L’ultimo appuntamento di questa lunga giornata è quello decisivo con Benno Levin (Paul Giamatti), un omino insignificante che lavorava per lui e che lo odia con tutte le sue forze, tanto da volerlo uccidere. Un film nel film, concentrato in 22 minuti che valgono tutta la visione.

 

E’ vero che “Cosmopolis” è in qualche modo un film su commissione?

E’ vero, me l’ha proposto il produttore Paulo Branco. Mi ha dato il libro a Toronto. Non avevo mai letto Cosmopolis, anche se conoscevo altre cose di Don DeLillo. Ho trovato il dialogo perfetto e nel film l’ho preso così com’è. Infatti ci ho messo solo sei giorni per scriverlo. E’ stato un vero record per me.

 

Robert Pattinson è un vampiro a Wall Street?

È fin troppo facile dirlo. Ma Cosmopolis non è Twilight. E poi non si può chiedere a un attore di recitare un concetto astratto, come lo spirito del capitalismo. Pattinson ha un ruolo difficile, appare in ogni inquadratura, ma io l’ho scelto per intuito.

 

C’è un legame con i suoi film precedenti o “Cosmopolis” è una sorta di outsider nella sua filmografia?

Non mi sono ispirato ai miei precedenti film, non lo faccio mai. Il passato non porta da nessuna parte. Non penso mai ai miei film, fatelo voi, se volete.

 

Ritiene che questo sia il primo film sul XXI secolo?

Che vuol dire un film sul XXI secolo? Diciamo che è stato
sorprendente girare le scene delle manifestazioni e la sera ritrovarsi con le immagini sui tg degli indignati che occupano Wall Street, ma è stata una coincidenza. Se vogliamo il fantasma del capitalismo che aleggia è una citazione di Carl Marx ancora molto attuale anche se risale al 1848. Spesso mi chiedo cosa avrebbe pensato Marx se avesse visto questo film, che mostra tante cose da lui previste.

 

I dialoghi sono il pezzo forte del film, che è tutto parlato, dall’inizio alla fine.

I dialoghi del romanzo sono come le parole di una canzone, io potevo solo cambiare il ritmo, l’orchestrazione, ma le parole sono quelle. Ogni attore che sale sulla limo è un po’ come un cantante che interpreta un brano di Don DeLillo.

 

C’è un personaggio in cui si riflette maggiormente?

Mi sento vicino a tutti i miei personaggi. E non credo che sia il caso di fare la psicoanalisi del film.

 

Sono passati quasi dieci anni tra il romanzo e il film. E’ stato un problema?

E’ un romanzo profetico, mentre stavo girando sono successe un sacco di cose descritte nel libro. Rupert Murdoch per esempio ha ricevuto una torta in faccia ed è nato il movimento Occupy Wall Street. Ho dovuto cambiare pochissime cose per aggiornare la storia, l’unica differenza è che al posto dello yen c’è lo yuan, la valuta cinese, come causa del crollo delle azioni.

 

Perché Eric spara alla sua guardia del corpo?

E’ una sorta di liberazione, perché il body guard rappresenta il suo essere prigioniero. Lo fa poco prima di tornare dal barbiere dove andava da bambino con suo padre, quando era povero.

 

Si ha l’impressione che gli ultimi 22 minuti del film, col confronto tra Eric e il suo ex dipendente, siano un film a se stante.

Quella scena viene dal romanzo ed è come una pièce teatrale, potrebbe essere un cortometraggio. L’unica differenza rispetto al teatro è la presenza della macchina da presa. Per me è l’essenza del cinema: un viso che parla. 
 

autore
25 Maggio 2012

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