Il primo agosto 2016, Dario Fo sale sul palcoscenico dell’Auditorium del Parco della Musica di Roma, per portare in scena il suo capolavoro più celebrato, Mistero Buffo. Solo lui e pochi altri sanno che sarà la sua ultima performance, in quanto i medici gli danno ormai poche settimane di vita. Morirà, infatti, il 13 ottobre successivo. Esattamente sei anni dopo, alla 17ma Festa del Cinema, festival ospitato in quello stesso Auditorium, viene presentato il documentario Dario Fo: L’ultimo Mistero Buffo, prodotto da Clipper Media, Luce Cinecittà, CTFR in collaborazione con Rai Documentari.
“È nato tutto quanto quando abbiamo capito che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui l’avremmo visto sul palco. – spiega il regista Gianluca Rame, nipote della coppia Fo Rame – Abbiamo capito che avremmo dovuto raccontarlo e così è nato in qualche modo un documentario. L’approccio all’opera di Fo Rame è stato molto complesso, perché erano pieni di storie. Per noi è stato naturale parlare del loro teatro politico e di come si diffonde in situazioni complesse, come sono quella curda e quella argentina”.
Bisognerà aspettare la fine del film per potere godere delle immagini del commovente ultimo spettacolo del grande artista, che in lacrime ringrazia il pubblico di Roma, ma non sarà un’attesa faticosa. Il documentario, infatti, ripercorre grossomodo tutta la carriera della coppia teatrale italiana più conosciuta al mondo, iniziando dal controverso momento in cui furono censurati per i loro interventi satirici dell’edizione di Canzonissima del ’62.
“Noi abbiamo vissuto come in una trincea per 15 anni, – dichiara Jacopo Fo che all’epoca aveva solo sette anni – ho iniziato ad andare a scuola scortato dai carabinieri perché ero stato condannato a morte dalla mafia per quello sketch di cinque minuti in cui si diceva semplicemente che in Sicilia c’era la mafia. Io credo che questo documentario faccia capire quello che abbiamo vissuto, la nostra piccola guerra”.
Lo stesso Jacopo Fo è tra le voci – da Paola Cortellesi, a Stefano Benni, passando da Gad Lerner, Renato Carpentieri e tanti altri – che intervengono per commentare quegli anni fatti di sperimentazione temeraria e sempre orientata a dare una voce a chi non ce l’ha. Come nel caso fragoroso di Morte accidentale di un anarchico, spettacolo nato per rispondere a un’esigenza urgente, scritto in pochi giorni e messo in scena per le prime volte durante il processo per la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli. Teoricamente dedicata alla morte, negli anni ’20 negli USA, di un altro anarchico Andrea Salsedo, lo spettacolo si veste di un carattere di universalità che lo renderà tra i più tradotti, adattati e rappresentati al mondo.
Brillante, in tal senso, l’idea di seguire le storie di due compagnie teatrali contemporanee, una in Argentina e una in Turchia, che rimettono in scena con una venerazione viscerale il testo di Dario Fo, riadattandolo alle loro “morti in custodia”. Due racconti paralleli che rendono esplicito quanta sia stata l’influenza all’estero di un artista spesso sottovalutato in Italia, tanto da sminuirlo anche quando vinse clamorosamente il Nobel per la letteratura (primo uomo di teatro e performer di sempre a farlo) nel 1997. All’epoca, infatti, i suoi spettacoli venivano rappresentati in 53 paesi diversi, tradotti in decine di lingue da oltre 300 produzioni, rendendo Fo l’artista vivente più rappresentato al mondo.
È questa l’eredità che il documentario di Gianluca Rame riesce miracolosamente a preservare per le generazioni future, sfruttando un lavoro produttivo faticosissimo che si è avvalso di fonti di archivio estremamente vaste. Il rischio per la coppia Fo Rame, come per qualunque artista di teatro, è quello di scivolare nel limbo di una produzione fatta per essere performata dal vivo e per avere un impatto diretto sul mondo contemporaneo. Grazie a questo film sarà ancora più difficile dimenticare – o anche solo ignorare – il loro incredibile contribuito artistico e i decenni di militanza politica in favore dei più deboli, contro tutto e contro tutti per affermare il valore della giustizia sociale. Questo sono stati Dario Fo e Franca Rame, più che semplici artisti, ma voci limpide e potenti del tempo in cui hanno vissuto.
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