Dario E. Viganò


Il vangelo secondo Matteo - M. Caruso, P. PasoliniA trent’anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini abbiamo chiesto a Dario Viganò, sacerdote, critico e direttore della “Rivista del Cinematografo”, un ritratto del poeta e regista dal punto di vista religioso. Un rapporto che fu contrastato con momenti difficili come il sequestro dell’episodio del film collettivo Ro.Go.Pa.G.(La ricotta) accusato di “vilipendio alla religione di Stato”, cui seguì un processo nel quale il Procuratore della Repubblica Di Gennaro presentò il film come “il cavallo di Troia della rivoluzione proletaria nella città di Dio”, mentre nel maggio 1964 la Corte d’appello di Roma, accogliendo il ricorso di Pasolini, decise di assolvere il regista perché il fatto non costituiva reato. D’altra parte, Il Vangelo secondo Matteo, duramente contestato dalla sinistra, fu ampiamente apprezzato (e premiato) proprio dalla critica cattolica. A Pier Paolo Pasolini CinecittàNews Paper ha dedicato un numero monografico che sarà disponibile tra pochi giorni.

La ricotta - setQual è il Cristo portato sullo schermo da Pier Paolo Pasolini?
Direi un “povero Cristo”, lontano dall’iconografia hollywoodiana. Già con La ricotta Pasolini marca la propria distanza dal biopic hollywoodiano realizzando un’opera di barocca vitalità in cui Gesù diviene un sotto-proletario costretto a confrontarsi quotidianamente con la fame e la disperazione. Pasolini utilizza la drammaturgia del film sul cinema per calare questo inconsapevole dramma umano nella cornice di un film estetizzante sulla Passione di Cristo: le stupende immagini a colori della Deposizione citano esplicitamente il Pontormo e Rosso Fiorentino, ma l’approccio pasoliniano rivela una tensione dialettica straordinaria. Nel sottoproletario Stracci inchiodato sulla Croce e morto per un’indigestione convivono i due versanti del perdono: come buon ladrone fittizio è colui che chiede perdono, come martire nell’indifferenza generale diviene colui che perdona, mimesi imperfetta dell’exemplum cristico.

Uno spunto ripreso nel Vangelo secondo Matteo?
Spogliato Cristo dai guanti di velluto con cui l’hanno dipinto i precedenti registi, Pasolini recupera lo scandalo e la bellezza del messaggio evangelico contestualizzandolo nel Sud d’Italia tra gli sguardi trasparenti di attori non professionisti. Alternando diverse modalità espressive (macchina a mano e rimandi “alti” alla pittura quattrocentesca), il cineasta riesce a penetrare realisticamente nella materia trattata soffermandosi, da laico, sugli aspetti più disturbanti e crudi del sacro: si pensi all’incontro del Cristo con i lebbrosi o alla crocefissione. Entrando da profano nel sacro, Pasolini profana consapevolemente la tradizione cinematografica della vita di Cristo ripulendola dagli abbellimenti edificanti e sfrondandola dall’iconografia devozionistica.

 

Qual è stato più in generale il suo approccio al sacro?
Il tentativo di Pasolini è stato quello di fare esplodere lo scandalo del sacro in una società borghese rigidamente canonizzata. La sua arte diviene rappresentazione tragica di questo conflitto insanabile, irrealizzabile sintesi tra l’uomo, la società e la sacralità. È in quest’ottica che il Cristo secondo Pasolini assume particolare rilevanza. Come il regista ebbe a dire in un dibattito a seguito del Vangelo: “Nel particolare momento storico in cui Cristo operava, dire alla gente ‘porgi al nemico l’altra guancia’ era una cosa di un anticonformismo da far rabbrividire, uno scandalo insostenibile: e infatti l’hanno crocifisso. Non vedo come in questo senso Cristo non debba essere accepito come Rivoluzionario”. Come il suo cinema, anche il “suo” Cristo è stato rivoluzionario.

 

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02 Novembre 2005

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