Non ho sonno sarà solo l’inizio. Il nuovo film di Dario Argento, che uscirà il 5 gennaio in tutta Italia, è la prima parte di una trilogia alla quale il maestro dell’horror sta già lavorando (per alcuni ciak in anteprima non perdetevi Fuori Orario – RaiTre, mercoledì 3 gennaio – dalle 0.50 ale 1.05). Un ritorno al thriller più classico, con una trama algebrica, colpi di scena e incastri geometrici tra personaggi, sospetti e indizi.
Come mai tutta questa voglia di tornare al giallo?
Ci pensavo da anni, ma ero nauseato dal modo in cui ero stato copiato, così ho ignorato tutti quelli che mi chiedevano di tornare al thriller. Ma in fondo questo era il mio primo amore. È stata un’esperienza così divertente che ho deciso di andare avanti, e il prossimo anno dovrebbe uscire già la seconda parte di questa trilogia che ho in mente. Non so come ho fatto a non pensarci prima.
Il film è una costante evocazione del passato, o no?
La storia parla continuamente del passato, lo chiama in gioco ed è da lì che spunta l’assassino. Ma è anche un ritorno al mio passato. Ad esempio per il fatto che sono tornato a girare a Torino. È stato come tornare a casa, certi angoli e certe vie ormai credo di conoscerle meglio dei torinesi stessi. E poi c’è il grande ritorno dei Goblin, il gruppo che per me ha composto le musiche culto di Profondo rosso e Suspiria. Sono tornati a suonare insieme dopo 22 anni proprio per Non ho sonno e come sempre è stata una collaborazione fantastica.
Rispetto agli ultimi film però le riprese sembrano diverse.
Ho rispolverato la mia vecchia macchina da presa e ho ricominciato a muoverla, magari in modo un po’ capriccioso, come se fosse una penna, per seguire i miei pensieri.
Ci sono delle scene tecnicamente impressionanti, come il piano-sequenza su un tappeto che segue l’avanzare dell’assassino…
Quella ripesa ha una storia complicatissima. Mi è venuta in mente di colpo e quando sono arrivato sul set con la mia idea mi hanno detto che ero un pazzo e che non si poteva fare. Qualcuno ha detto che ci sarebbe voluta una macchina speciale che si trova solo in Giappone o una troupe che lavora unicamente in Gran Bretagna. Ho insistito e alla fine, anche se all’ultima ora dell’ultimo giorno di riprese, ci sono riuscito. Ma non svelerò mai come.
Come è nata la scelta degli attori?
Per il ruolo del commissario in pensione avevo pensato anche a Richard Attenborough, poi ho incontrato Max Von Sydow, ho visto la sua imponenza e non ho avuto dubbi. Ci sono attori di palcoscenico, come Rossella Falk e Gariele Lavia: d’altronde se non ci fosse la gente di teatro il cinema non andrebbe avanti.
La trama del film gira intorno a una filastrocca per bambini, c’è un rapporto tra le fiabe e l’orrore?
Le favole sono piene di cose terrificanti. Io sono stato profondamente segnato dai racconti di una vecchia zia. E visto che ho avuto un’infanzia quasi banale nella sua serenità, credo che quelle storie siano all’origine del mio lato oscuro, di una certa parte della mia immaginazione. Quella filastrocca nel film è molto importante, ho chiesto a mia figlia Asia di scriverla e penso che il risultato sia molto buono.
Un altro contributo alla sceneggiatura è venuto da Carlo Lucarelli, il giallista. Che ruolo ha avuto?
Fondamentale, soprattutto per quanto riguarda i dettagli delle indagini di polizia. Carlo è un esperto di microspie, intercettazioni e cose del genere. E poi ha anche avuto un’idea centrale per la trama, ma non dico quale.
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