“Bombardare l’Afghanistan? Sì, di pane, libri, dvd, televisioni… Bisogna fermare la crisi senza perseguire l’idea della vendetta. Sotto gli occhi dell’Onu e degli americani furono massacrate a Srebrenica 9.000 persone: questo non vuol dire che noi bosniaci dovessimo distruggere Belgrado, stuprare le donne serbe o massacrare i civili. Ma allo stesso tempo non si può continuare a pensare che il 90% del mondo, a parte poche isole democratiche felici, siano costrette a vivere nella guerra, nella povertà assoluta, nella disperazione”. Inevitabile che con Tanis Danovic si parli di guerra. Inevitabile, di questi tempi, che si aggiorni il tema: non più quello della ex Jugoslavia che ha stravolto il suo paese e che è oggetto del suo primo film, No Man’s Land, terra di nessuno, ma la guerra “nuova”, quella asimmetrica infinita e ancora inimmaginabile che fa seguito all’attacco delle Twin Towers. Tanovic ha vissuto a Sarajevo fino al 1994, poche settimane prima del massacro al mercato. Pesava meno di 60 chili quando è partito. Destinazione Belgio, per frequentare una scuola di cinema e proseguire gli studi avviati in Bosnia. No Man’s Land l’ha scritto in due settimane, nel ’99, “per cercare di mostrare lo shock della guerra, la disarmonia, l’orrore di vedere che la strada che percorrevi ogni giorno per andare a scuola è diventata da un giorno all’altro un pezzo di terra per cui si uccide”.
Cosa ha pensato quando ha visto le immagini del crollo e della tragedia?
L’ho sentito alla radio, dell’attacco, anche perché cerco di guardare meno televisione possibile. Non avevo bisogno di vedere le torri ridotte in polvere per sentirmi profondamente triste. Ho vissuto a Sarajevo, so cosa vuol dire avere la guerra in casa, temere per tua moglie che è uscita, sentire le bombe, subire gli attacchi. Adesso bisogna cercare di ragionare a mente fredda. Colpire il regime dei talebani, ma sempre pensando alla giustizia, non alla rivincita. Mi chiedo però se è sempre indispensabile arrivare all’irreparabile prima di trovare alcune soluzioni: non si potevano bloccare i fondi delle società legate al terrorismo prima dell’11 settembre?
Da come parla e dalle immagini del suo film si direbbe che non tiene in grande considerazione tv e mass media…
I giornalisti, come noi registi, dovrebbero avere sempre in mente una sola cosa, l’etica. I reporter hanno fatto molto per il conflitto jugoslavo, anche indotto l’Onu a intervenire, come mostro nel film, ma nella maggior parte dei casi è lo scoop, il sensazionalismo che si cerca a tutti i costi. Vi faccio un esempio. Un giorno sento in tv che era caduta una granata sul quartiere Onu, ma in quello stesso giorno erano piovute su Sarajevo oltre 3000 bombe di cui non s’è data notizia. E’ una questione di scelte, come sempre.
Torniamo a “No Man’s Land” (guarda anche il sito). Tre uomini in una trincea, uno di loro è sdraiato su una mina. Gli altri due sono nemici, così almeno dice la guerra che stanno combattendo. E’ una storia che nasce da uno spunto reale?
No. Se dovessi cercare un’idea di partenza direi che è stato un romanzo di Mesa Selimovic che ho letto da ragazzo. Parlava di due cavalieri che s’incontrano su un ponte. Nessuno dei due vuole cedere il passo. Iniziano a battersi in un’escalation che arriva sino al pugnale. Stanchi, decidono di riposarsi e di pranzare. Durante la pausa, chiacchierando, scoprono di conoscere la stessa donna prigioniera in un castello. Ma quando si sono rimessi in forze riprendono il duello fino ad uccidersi l’un l’altro.
Il suo film è un vero figlio dell’Europa, coprodotto da sloveni, belgi, italiani (Fabrica di Marco Mueller), inglesi. Dopo il premio a Cannes per la migliore sceneggiatura cos’è successo? E quali sono i suoi futuri progetti?
Progetti non ne ho. Mi hanno spiegato che un film è come un neonato, bisogna seguirlo da vicino nei suoi primi passi, dunque non ho avuto tempo di dedicarmi ad altro. Ma No Man’s Land è stato venduto in tutto il mondo, letteralmente. Dalla Colombia al Sud Africa alla Lituania. E uscirà presto anche in tutte le repubbliche della ex Jugoslavia, cosa di cui sono molto contento.
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